Per mettersi in mezzo. (7)
21/7/09
Ieri sera era prevista una riunione di condivisione tra i due gruppi di volontari che convivono nel villaggio. Uno è il gruppo a cui partecipo io che è formato solo da italiani e l'altro invece è formato da nordamericani.. I due gruppi lavorano coordinati dividendosi i diversi compiti di accompagnamento e scorta. Purtroppo è più facile far fare pace agli altri che fare pace con chi si ha vicino. Tra i due gruppi c'è un po' di tensione e una delle due americane presenti ha condiviso la cena scrivendo per tutto il tempo al computer. Alla riunione degli italiani che è seguita ci siamo detti un po' come stiamo. Qualcuno è stanco, i ragazzi che stanno con i bambini sono un po' delusi perché non si sentono valorizzati, io sono un po' scocciato di sentirmi continuamente dire come dovrei essere vestito e come dovrei comportarmi con gli uomini e con le donne. Ci sto facendo un po' le misure ma è veramente noioso dopo aver “lottato” per una vita per vedermi riconoscere il diritto di essere vestito male come voglio adesso mi trovo costretto da un mare di regole e norme a comportarmi in maniere che trovo assurde per non scandalizzare le persone del luogo.
Alla fine della riunione bisogna decidere i compiti per l'indomani. Mi chiedono se ho voglia di andare in un villaggio a un'ora di cammino dal nostro villaggio per fare da testimoni nel caso la polizia intervenisse presso dei palestinesi che vogliono costruire. Si sa che si deve partire presto ma non si sa quando si ritorna. Io mi preoccupo a stare sotto il sole diretto del deserto per troppe ore. Già la volta scorsa quando sono tornato nel primo pomeriggio dopo la mattina ad accompagnare pastori mi sentivo in ebollizione e la pelle delle mani, nonostante la crema protezione 50, cominciava ad essere arrossata col rischio di farmi stare male per i giorni successivi. Condivido questa mia preoccupazione perché non vorrei creare problemi il giorno dopo a chi è con me a svolgere il mio compito. Mi sembra che Fra sia preoccupato ma Miki insiste perché ci vada io invece di lui. Non so se lo fa perché vuole lasciarmi la possibilità di vivere l'esperienza (anche se non ambisco più di tanto di trovarmi nei casini) o perché non ha voglia di passarsi una giornata a cuocere. Alla fine rimaniamo d'accordo io e Fra: sveglia alle 6 e partenza alle 7.
La notte cambio di nuovo posto, mi metto in un punto un po' ventoso, fuori nello spiazzo con i tappi per le orecchie. Durante il giorno infatti non si sente un cane abbaiare ma durante la notte si scatena il finimondo. Ogni mezz'oretta i cani cominciano ad abbaiare e vanno avanti per parecchio rispondendosi con l'intermezzo saltuario degli asini che ragliano e l'accompagnamento mattutino dei galli e di uno stormo di passeracei che ha pensato bene di fare un condominio di nidi nella soletta della casa sopra la nostra. Alla fine dormo senza punture ma la mattina sono un po' rattrappito dal freddo.
Dopo le lunghe abluzioni mattutine partiamo. Quando arriviamo all'altro villaggio andiamo a cercare Id. Parla bene inglese, l'avevo incontrato all'azione lungo la strada e mi aveva parlato ma pensavo fosse di Ta'yush, l'organizzazione pacifista israeliana. Ci fa sedere e ci offre l'immancabile te. Ci racconta che ha chiesto il nostro intervento perché nel villaggio vogliono costruire undici latrine. Il villaggio è abitato da beduini ed è formato da recinti coperti da tende o da blocchi di cemento di due stanze. Ma non c'è il bagno e neppure la latrina. Per i loro bisogni si allontanano nel deserto. Ma ogni tanto è successo che qualche colono ha inseguito chi cercava di fare i suoi bisogni nella landa desolata. Così vogliono costruire delle latrine tra le case del villaggio ma sono senza autorizzazione. Il villaggio è stato letteralmente circondato da una colonia israeliana che ha le sue reti di recinzione che corrono a meno di 10 metri dalle case dei palestinesi, molto più vicina di quanto sia vicino il villaggio dove è la nostra casa alla colonia vicina.
Le undici latrine verranno costruite in due fasi. Prima i palestinesi faranno i buchi per terra e poi una associazione spagnola che paga anche i lavori di scavo manderà dei volontari che in una settimana costruiranno le latrine. Ma tutto questo senza autorizzazione. Per questo Id ci ha chiamato, vuole che restiamo con loro nel caso venga la polizia ad impedirgli di proseguire lo scavo. Noi dovremo solo fare i testimoni, cosa che probabilmente già servirà ad impedire l'arresto.
Fortunatamente i lavori sono in mezzo alle case per cui la paura del giorno prima era infondata. Non saremmo rimasti al sole per tutto il giorno, anzi poco dopo che ci siamo seduti all'ombra osservando un signore basso e corpulento che maneggia un martello pneumatico arriva il secondo te della giornata.
Dopo una mezz'ora arriva una macchina della polizia della colonia che da dentro si ferma ad osservare. Gli operai continuano a lavorare seminascosti da alcune coperte ma il rumore del compressore e del martello pneumatico è molto alto. A noi ci chiedono di rimanere seduti e defilati anche se subito mi ero messo a filmare in direzione della colonia facendo il vago per arrivare a filmare l'auto della polizia. La polizia poi se ne va lasciando in ansia tutti.
Ogni tanto, quando si avvicinava qualche mezzo sospetto io e Fra tiravamo fuori la videocamera. Sembravamo due pistoleri col le loro amate pistole. Anche Id ci scherza sopra. In effetti queste telecamere per questi palestinesi sono armi potenti, che li fanno sentire sicuri.
Il resto del giorno però passa in una condizione atarassica. Nello stupore di Id non si fa vedere più nessuno, né polizia né militari. Anche volessimo dare una mano ci viene chiesto di rimanere estranei ai lavori per poter essere meglio semplici testimoni. Noi stiamo sotto una tenda a parlare con qualcuno dei figli della famiglia a cui stanno costruendo la latrina (non ne mancano perché sono 8 figlie e 11 figli) e ogni tanto ci portano un te. A pranzo ci offrono un piattone con un imbrogliata di pane arabo e verdure condite con molto olio e pecorino, molto gustoso.
A metà pomeriggio un piccolo momento di tensione perché una jeep e due humvee (grossi jeepponi militare larghi larghi) che in mattinata erano passati senza fermarsi al ritorno si fermano vicino al villaggio e i militari scendono. I palestinesi sono un po' preoccupati anche se ci dicono che per loro è una cosa abituale vedere questi veicoli fermarsi al villaggio vista la loro vicinanza alla colonia. Anche la pattuglia militare però poco dopo riparte senza disturbare il lavoro di scavo che avanza.
Intanto che siamo lì una delle bambine di quattro o cinque anni, una vera bambolina bisquit, si avvicina a me e comincia ad sfiorarmi la testa calva (che da queste parti è una vera rarità riservata solo alle persone molto anziane). Io mi metto a scherzare con lei ed arriviamo quasi a sfiorarci il naso. A quel punto però uno dei suoi fratelli di uno o due anni più grande di lei comincia a sgridarla e a darle anche dei colpi. Io cerco di dirgli di non farlo. Quando poi la bimba si riavvicina a me nuovamente il fratello riparte alla carica per allontanarla. Di nuovo cerco di dirgli di lasciarla stare ma si sente investito di un compito superiore. E la bambina si allontana con un visino che era un enorme punto interrogativo. Non so se alla fine si metterà il velo sperando di trovare un marito che la terrà in casa a lavorare e a fare figli o se invece lascerà la sua casa per emigrare in qualche altro paese in cui essere libera di relazionarsi con persone dell'altro sesso senza essere redarguita, ma sicuramente non stava capendo cosa c'era di male nella sua voglia di affetto e di comunicazione.
A tardo pomeriggio, quando il buco della prima latrina è completato e i beduini si stavano apprestando ad attaccare il secondo noi dobbiamo partire. Ci chiedono di tornare il giorno dopo e magari anche di dormire lì in modo da poter avere qualcuno anche se continuano a scavare la sera. Si vede che ci tengono molto alla presenza internazionale.
Lungo la strada Fra rimane un po' indietro e alla fine, quando gli dico che abbiamo messo 50 minuti mi dice “Un record di velocità. Meno male che avevi paura di non farcela”. In fondo un beduino si era stupito quando gli ho detto che avevo 51 anni dicendomi che me ne aveva dati al massimo 30, bontà sua, anche se in effetti i trentenni di qui sembra che abbiano 50 anni. La vita da queste parti ti consuma presto.
Etichette: azione diretta, nonviolenza, palestina, uguaglianza uomo donna, violenza