Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

16/02/10

Oltre i cortei e le elezioni

Qualcuno pensa ancora che la degenerazione dell'Italia attualmente in corso possa essere fermata con cortei e elezioni.
Alla fine dell'ottocento i lavoratori, gli sfruttati di allora, hanno cominciato a capire che serviva un lavoro più profondo, di formazione e organizzazione, di diffusione delle conoscenze e delle basi etiche. Bisogna riprendere da allora ma evitando le derive ideologiche pur vaccinandosi dall'invadenza dei profittatori. Un lavoro lungo, di generazioni.
In questa maniera sono riusciti a mettere in discussione il privilegio dei ricchi su tutti gli altri. Ma con gli anni i ricchi hanno capito che dovevano organizzarsi per riprendere il predominio. Dopo un po' di tentativi mal riusciti (golpe Borghese) e di contraccolpi sfruttati al meglio (terrorismo) hanno sostenuto la Lega e Berlusconi, fatto la P2 e tutto il resto. Adesso tocca agli sfruttati riequilibrare le cose se non vogliono rimanere schiacciati per decenni

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15/02/10

Babe e la TV

LA TELEVISIONE E LA NONVIOLENZA

Mi è capitata quasi casualmente di fare gratuitamente uno spot che acquistato sarebbe costato circa un milione di euro a favore della nonviolenza.
Stimolato dai miei figli che spesso guardano un quiz alla TV con il quale a volte mi diverto con loro a rispondere, mi sono candidato per partecipare al quiz.
Dopo un certo numero di selezioni, è arrivata la registrazione della puntata.
Al momento in cui sono stato eliminato (verso la fine) ho chiesto di fare i canonici saluti.
Ho salutato i miei bambini e poi ho ricordato "tutti i bambini che per la follia degli adulti rischiano di morire nella guerra che si sta preparando" e ho poi invitato "tutti coloro che non sono d'accordo perché venga fatta questa guerra ad appendere ai propri balconi delle bandiere con su scritto PACE" e intanto ho srotolato la bandiera arcobaleno con su scritto PACE che mi ero portato dietro e l'ho appesa davanti alla mia postazione intanto che il regista allargava il campo per riprendere me e la bandiera. In quel momento nello studio si è levata una ovazione con tutto il pubblico che applaudiva e urlava "bravo", i tecnici che venivano a stringermi la mano e le balerine che mi davano delle pacche sulla spalla. A quel punto mi sono allontanato salutando.

La trasmissione della puntata è andata in onda su RAI 1 subito prima del TG della sera dalle 18:45 alle 20 venerdì 17/1/03, il giorno prima della manifestazione internazionale per la pace e contro la guerra.

Il mio "saluto" non è stato tagliato, anzi è stato montato in maniera da farmi risultare ancora più accattivante, dando l'occasione al regista e ai tecnici di esprimere il loro dissenso alla guerra, e probabilmente ha invogliato molte persone a cercare una bandiera da appendere (l'audience della trasmissione che tutte le volte viene ripetuto è di 7 milioni di persone che in genere non sono molto politicizzate). Dopo quella data il numero di bandiere della pace appese ai balconi è letteralmente esploso.
Ho pensato che fosse una buona occasione per parlare far emergere il dissenso alla guerra e far conoscere l'iniziativa delle bandiere di pace che era stata lanciata da un gruppo di associazioni.

Spesso i media ci usano e noi non riusciamo ad usare loro. In questo caso io mi sono fatto usare per poterli in qualche modo usare. Concordo sul fatto che il modello comunicativo televisivo dovrebbe essere pesantemente contestato (senza escludere il fatto che quasi sempre quando il "movimento dei movimenti" prova a comunicare si adegua pedissequamente a tale modello). Ma d'altra parte bisognerebbe anche evitare di essere troppo ingenui. Per esempio quando a volte viene proposto il boicottaggio della TV cosa si pensa di fare? Chi dovrebbe fare questo boicottaggio? Gli impegnati e i coinvolti, quelli che leggono le nostre mailing list o i "nostri" giornali spesso lo fanno già o perché tra riunioni e incontri ben raramente hanno il tempo di guardare la TV o perché in quelle rare occasioni, se non si sceglie di leggere posta elettronica o libri, viene fatta una selezione dei programmi, per cui il boicottaggio significherebbe levare audience a quei programmi che sono più interessanti e che rappresentano quella parte di TV che è come dovrebbe essere tutto il resto. Tutti gli altri, il "popolo bruto", non vengono neppure a sapere del boicottaggio e poi, se anche venissero a saperlo, penserebbero subito che intanto nessuno se ne accorgerebbe, che in fondo hanno anche loro il diritto di rilassarsi un po' la sera o cose del genere.
A ciò si aggiunga che il boicottaggio dovrebbe essere rilevato con sistemi come l'auditel che si basa su un campione ben selezionato di persone non scelte casualmente (quanti ne conoscete delle migliaia di italiani con
l'auditel?) solo tra gli assidui teleutenti, per di più con uno strumento che può dare valori significativi tali da giustificare la selezione del teleutente solo se manovrato da qualcuno veramente convinto dell'importanza del suo ruolo di teleutente campione, che ovviamente ben difficilemente può essere impersonato da un contestatore del sistema. Potete immaginarvi quanto l'auditel sarebbe influenzato da un boicottaggio così concepito. Praticamente il boicottaggio lo farebbero solo quelli che già non vedono la TV e/o non vengono rilevati dall'auditel (anche perché in tal caso gli verrebbe levato il meccanismo) per cui non se ne  accorgerebbe" nessuno.
Quando si intraprende una iniziativa bisognerebbe non solo valutare ciò che noi vorremmo avvenisse (magari immaginando che il resto del mondo sia come noi) ma soprattutto valutare ciò che si ottiene considerando che spesso il mondo è ben diverso da noi.
La parabola evangelica che invita ad essere "come agnelli in mezzo ai lupi" non chiede di diventare lupi feroci, ma neppure di agire come se si fosse nel bel mezzo di un gregge di pecore. Spesso invece si agisce affermando che tutti gli altri sono lupi aspettandosi poi da loro delle azioni da pecore. Bisognerebbe invece saper distinguere i lupi dalle pecore ma anche le pecore dai cani da pastore che in fondo tanto cattivi non sono ma che seguono ordinatamente ciò che il padrone gli dice ma ancora meglio ciò che si aspettando di sentire dal padrone che hanno dentro di loro. E parlare ad ognuno a seconda delle loro possibilità di comprensione e del loro linguaggio.
E tanto per citare una opera realizzata da chi ha potere ma che, se utilizzata correttamente, può essere molto utile anche per chi potere non ne ha, trovo molto interessante vedere nel film "Babe il maialino" cosa fa l'eroe suino (pur considerando che anche lui alla fine esegue quello che gli dice il "padrone" non molto diversamente da quello che in fondo facciamo tutti noi).
Per riuscire a parlare con pecore e cani adatta il suo linguaggio ma alla fine riesce ad ottenere quello che cerca.

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23/10/09

Per mettersi in mezzo (17)

31/7/09
Durante la notte l'aria si rinfresca parecchio e sale una forte umidità tanto che all'alba intravedo nel dormiveglia il sole dietro delle nuvole con tutte le gradazioni dell'arcobaleno. Mi godo l'immagine e mi giro dall'altra parte.
Quando sentirò un martello pneumatico mi verrà in mente la Palestina. Anche stamattina che teoricamente non avrei nessun compito e potrei dormire sono stato svegliato dal martellare del martello pneumatico di una ruspa che da quando sono qui sta crivellando il villaggio di voragini. Dubito che siano tutti lavori autorizzati, anche perché non so se da queste parti serve una autorizzazione per bucare o costruire all'interno dei piani di espansione, ma non sono neppure sicuro che siano tutti dentro i confini del piano di sviluppo del villaggio. Uno dei buchi infatti è stato fatto di lato alle macerie di una delle case che in passato sono state demolite dagli israeliani perché fuori dei confini. Non che i palestinesi si siano demoralizzati, lo hanno ricostruito in muratura a forma di tenda e lo hanno ricoperto con una tenda vera. Comunque da mattina a sera per il villaggio si sente un martellare assordante e costante.
A metà mattinata gli altri del gruppo, non avendo niente fa fare dato che il summer camp è ormai finito, decidono di fare una passeggiata fino al villaggio a fianco dell'altra colonia. Mi chiedono se vado ma non ho voglia di farmi due camminate di un'ora sotto il sole, soprattutto al ritorno, per tornare dove ero andato a controllare lo scavo delle latrine (altra giornata di martello pneumatico). Così resto alla casa con gli americani che non sono andati a Tuba a dormire, Mi viene voglia di andare all'albero sopra il villaggio a leggere un libro e quando sto per partire noto una strana agitazione tra gli americani. Diana è impegnata in una telefonata abbastanza concitata e alla fine le chiedo cosa sta succedendo. Mi dice che i militari e la polizia hanno fermato il gruppo di americani che erano a Tuba e stavano accompagnando dei pastori al pascolo, gli hanno ritirato le carte di identità e li minacciano di arresto. Mi dice anche che gli altri del gruppo che stavano transitando per andare all'altro villaggio, che sono arrivati nel frattempo, sono stati avvertiti di cosa stava succedendo e si sono defilati osservando da lontano. Chiamo la Fede e mi dice che sono fermi al sole ad aspettare di vedere cosa succede.
Non potendo fare niente per il momento dico a Diana che sono all'albero e di chiamarmi se posso essere utile.
All'alberone sopra il villaggio l'aria è fresca e il vento tira allegro. Il panorama è molto bello. Una cosa meravigliosa di questi posti è che vedi ovunque. Anche oggi, dopo che l'umidità della notte si è dileguata, dalla collinetta su cui è l'albero si vedono i villaggi e le cittadine a chilometri e chilometri di distanza, si vedono i trattori che vengono e vanno, le persone che camminano lungo le strade come in un presepe immenso. E qui proprio di presepe si può parlare.
Dopo un'oretta chiamo Fede per sapere che ne è di loro. Mi aveva detto che mi avrebbe aggiornato ma non ho ricevuto nessuna notizia. Mi dice che sono ancora piantati sotto il sole ad osservare quello che sta succedendo agli americani. Mi sento un po' in colpa di stare al fresco sotto l'albero, stamattina mi è andata bene ad essere stato un po' pigro.
Dopo un'altra ora, quando sto per richiamare ricevo  un messaggio di Fede che mi dice che sono tornati a casa. Alla fine la polizia ha restituito i documenti a tutti ed ha portato alla stazione di polizia il pastore per fornire chiarimenti sulle cosa che ha chiesto, almeno così dice la polizia. Mi viene il dubbio che questa volta la presenza di tutti quegli internazionali, metà della delegazione americana, assieme al pastore sia servita più ad attrarre i militari che a dissuaderli dall'intervenire. In compenso i membri della delegazione sembrano provati dall'esperienza. Verrebbe da pensare che la cosa sia stata organizzata come simulazione di una situazione di conflitto per il loro training.
Nel pomeriggio andiamo tutti all'albero anche con il responsabile di tutti i progetti appena arrivato dall'Italia in vista della riunione del 2 con gli americani che, appena arrivato all'albero, chiede ai volontari permanenti di appartarsi con lui per una riunione. Noi restiamo a chiacchierare e prendere il fresco che ormai tanto fresco più non è. Dopo un'oretta tornano dall'albero e questa volta ci chiedono di andarcene perché hanno appuntamento lì con il “capo villaggio” per parlare con lui del futuro della permanenza degli italiani. Mi sento infastidito. Alla partenza mi era stato esplicitato, senza che neppure lo chiedessi, che qui non ci sarebbe stata distinzione a seconda della durata della propria permanenza come volontari, tanto che avevo pensato che, proprio perché novellino della situazione, mi sarei impegnato ad ascoltare prima di dire la mia come spesso faccio. Eppure qui in molte situazioni noto che i volontari di periodo più lungo si aspettano un certa subordinazione da parte di quelli di più breve periodo, per esempio riguardo al cosa fare nelle situazioni di emergenza, anche se esplicitamente la cosa viene costantemente smentita. Penso che possano esserci ottime ragioni per dare più importanza alle posizioni di chi ha maggiore esperienza in loco, ma penso sia più corretto riconoscere la cosa invece che affermare in teoria il contrario.
Prima di cena chiedo a Ele, che cura il calendario, che turni farò nei prossimi giorni, anche per potermi organizzare eventuali visite quando sono a Gerusalemme. Lei mi risponde che domani tornerò con quelli del summer camp. Quando le faccio presente che non le avevo chiesto cosa facevo “il prossimo giorno” ma “i prossimi giorni” mi dice che non sa ancora dirmi e la cosa mi indispettisce non poco visto che è da una settimana che le ho spiegato anche il motivo per cui vorrei poter sapere con un po' di anticipo quali turni farò.
Alla sera, dopo cena, Fabio mi chiede di fare due passi con lui. Viene anche Ele. Chiacchieriamo del più e del meno nel buio subito fuori dal paese. Il paesaggio è veramente bello, con le luci di tutti i villaggi in lontananza, e per caso ci sediamo di fianco ad una pianta che ha un profumo intenso e molto buono. Ad un certo punto il discorso arriva ai turni e mi chiedono se io pensavo ancora di tornare al villaggio nei prossimi giorni. Un po' mi stupisco e dico che se ho dato la disponibilità per un certo periodo non mi sembrerebbe neppure corretto cambiarla a metà e comunque non avrei motivo di non voler venire ancora al villaggio. Allora mi chiedono come sono state queste due settimane per me. Gli spiego che ci sto ancora riflettendo, che sto osservando e vivendo le cose per poi rifletterci anche in seguito. Mi dicono che sono molto interessati alle mie osservazioni, che ci tengono perché pensano siano molto utili per permettergli di rivedere la loro esperienza in confronto ad altri approcci. In fondo io Fabio e Ele ci siamo conosciuti in occasioni di formazione sui temi della gestione dei conflitti in aree di crisi ma non abbiamo avuto mai molta possibilità di scambio di idee e di confronto.
Io gli prometto che finito il periodo condividerò con loro le mie riflessioni ma che mi sembra meglio adesso vivere l'esperienza senza che le mie valutazioni vadano ad interferire con la vita del gruppo. Così me ne torno alla casa nel silenzio della notte con il vento che mi accarezza sentendo che da parte loro c'è una stima profonda come io ho per loro.

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Per mettersi in mezzo (14)

28/7/09
Oggi sono andato al gate. I militari sono rimasti chiusi nella jeep che seguiva i bambini con l'aria condizionata. Chissà cosa fa comportare in maniera diversa le diverse pattuglie. Qualcuna precede e segue i bambini a piedi, qualcuna si limita a stare sulla jeep. Penso che abbiano tutte lo stesso protocollo ma si comportano diversamente a seconda di chi le compone.
Torno alla scuola alla fine del summer camp per accompagnare i bambini al ritorno. E' la prima volta che vado al gate al ritorno. I bambini arrivano in ordine sparso. Questa volta i militari sono anche in anticipo. Chiedo a Fra come facciamo a sapere che ci sono tutti i bambini. Lui mi dice che dovrebbero essere 8 come stamattina e che comunque basta chiedere a loro perché lo sanno se per caso uno non torna indietro con loro. Mi sembra un sistema un po' debole ma è anche vero che qui il fratellino di 4 anni accudisce la sorellina di 3. La jeep è sempre la stessa, la 611351, ormai so il numero a memoria. Partono per la strada e noi mandiamo i messaggini di rito. Dopo un quarto d'ora però non abbiamo ancora ricevuto la conferma che i bambini sono dall'altra parte sani e salvi. Chiamiamo gli americano che dovrebbero essere ad attenderli ma i loro cellulari non prendono. Fra mi dice che Jes dopo che è stata attaccata dai coloni mascherati ha paura e sta sempre lontanissima dalle zone pericolose per cui potrebbero essere in fondo alla valle per non farsi vedere, dove il cellulare non prende. Alla fine sento Sean che mi conferma che, anche se non li hanno visti prima, i bambini adesso sono arrivati. Forse ha ragione Fra che inveisce contro Jes perché, secondo lui, se uno non se la sente di rischiare per il bene dei bambini è meglio che lasci perdere. Nessuno la obbliga a fare interposizione, può per esempio anche stare nella loro base in città a svolgere lavoro di coordinamento. Ma se uno dà la disponibilità a scortare i bambini è giusto che lo faccia, su quello concordo con Fra.
Nel pomeriggio arriva il “capo villaggio” affranto. Ha ricevuto un ordine di demolizione per la linea elettrica in costruzione per portare la corrente al villaggio. Avevano cominciato a costruirla ma erano stati fermati dalla polizia in maniera informale. Si aspettavano un ordine di interruzione dei lavori per potervi ricorrere contro ma invece è arrivato direttamente l'ordine di demolizione. Pare che il problema sia che la linea elettrica dovrebbe attraversare la bypass road che unisce le colonie passando vicino al villaggio. Riuscirsi a liberare dalla limitazione di dover ricorrere al generatore per avere l'energia elettrica sarebbe per il villaggio una possibilità notevole di emancipazione. Ma le autorità di occupazione ovviamente vedono negativamente questo ipotesi. In fondo loro sperano che il conflitto si risolva semplicemente perché i palestinesi non ce la fanno più e rinuncino. E senza corrente elettrica è decisamente più facile che rinuncino.
Per leggere un po' sono andato nell'”ufficio” dove sono sistemati i volontari per il summer camp e ho finalmente fatto conoscenza con le mie aguzzine, queste maledette zanzarine-pulci che saltellano sulla parete bianca. Sono quasi trasparenti, minuscole e indistruttibili. Neppure tirandogli delle cuscinate riesco a farle fuori, continuano a svoliccchiare e saltellare da una parte all'altra. Sono anche molto silenziose e comunque sono veramente malefiche. Non capita spesso di sentire la propria pelle. Di solito si percepisce di avere una pelle quando si tocca qualcosa. Ora invece ho costantemente la percezione cosciente della mia pelle, la percepisco dai piedi alla testa, anche nelle parti che non mi prudono. Ciò mi crea una tensione costante che non mi permette mai un momento di relax.

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22/07/09

Per mettersi in mezzo. (7)

21/7/09
Ieri sera era prevista una riunione di condivisione tra i due gruppi di volontari che convivono nel villaggio. Uno è il gruppo a cui partecipo io che è formato solo da italiani e l'altro invece è formato da nordamericani.. I due gruppi lavorano coordinati dividendosi i diversi compiti di accompagnamento e scorta. Purtroppo è più facile far fare pace agli altri che fare pace con chi si ha vicino. Tra i due gruppi c'è un po' di tensione e una delle due americane presenti ha condiviso la cena scrivendo per tutto il tempo al computer. Alla riunione degli italiani che è seguita ci siamo detti un po' come stiamo. Qualcuno è stanco, i ragazzi che stanno con i bambini sono un po' delusi perché non si sentono valorizzati, io sono un po' scocciato di sentirmi continuamente dire come dovrei essere vestito e come dovrei comportarmi con gli uomini e con le donne. Ci sto facendo un po' le misure ma è veramente noioso dopo aver “lottato” per una vita per vedermi riconoscere il diritto di essere vestito male come voglio adesso mi trovo costretto da un mare di regole e norme a comportarmi in maniere che trovo assurde per non scandalizzare le persone del luogo.
Alla fine della riunione bisogna decidere i compiti per l'indomani. Mi chiedono se ho voglia di andare in un villaggio a un'ora di cammino dal nostro villaggio per fare da testimoni nel caso la polizia intervenisse presso dei palestinesi che vogliono costruire. Si sa che si deve partire presto ma non si sa quando si ritorna. Io mi preoccupo a stare sotto il sole diretto del deserto per troppe ore. Già la volta scorsa quando sono tornato nel primo pomeriggio dopo la mattina ad accompagnare pastori mi sentivo in ebollizione e la pelle delle mani, nonostante la crema protezione 50, cominciava ad essere arrossata col rischio di farmi stare male per i giorni successivi. Condivido questa mia preoccupazione perché non vorrei creare problemi il giorno dopo a chi è con me a svolgere il mio compito. Mi sembra che Fra sia preoccupato ma Miki insiste perché ci vada io invece di lui. Non so se lo fa perché vuole lasciarmi la possibilità di vivere l'esperienza (anche se non ambisco più di tanto di trovarmi nei casini) o perché non ha voglia di passarsi una giornata a cuocere. Alla fine rimaniamo d'accordo io e Fra: sveglia alle 6 e partenza alle 7.
La notte cambio di nuovo posto, mi metto in un punto un po' ventoso, fuori nello spiazzo con i tappi per le orecchie. Durante il giorno infatti non si sente un cane abbaiare ma durante la notte si scatena il finimondo. Ogni mezz'oretta i cani cominciano ad abbaiare e vanno avanti per parecchio rispondendosi con l'intermezzo saltuario degli asini che ragliano e l'accompagnamento mattutino dei galli e di uno stormo di passeracei che ha pensato bene di fare un condominio di nidi nella soletta della casa sopra la nostra. Alla fine dormo senza punture ma la mattina sono un po' rattrappito dal freddo.
Dopo le lunghe abluzioni mattutine partiamo. Quando arriviamo all'altro villaggio andiamo a cercare Id. Parla bene inglese, l'avevo incontrato all'azione lungo la strada e mi aveva parlato ma pensavo fosse di Ta'yush, l'organizzazione pacifista israeliana. Ci fa sedere e ci offre l'immancabile te. Ci racconta che ha chiesto il nostro intervento perché nel villaggio vogliono costruire undici latrine. Il villaggio è abitato da beduini ed è formato da recinti coperti da tende o da blocchi di cemento di due stanze. Ma non c'è il bagno e neppure la latrina. Per i loro bisogni si allontanano nel deserto. Ma ogni tanto è successo che qualche colono ha inseguito chi cercava di fare i suoi bisogni nella landa desolata. Così vogliono costruire delle latrine tra le case del villaggio ma sono senza autorizzazione. Il villaggio è stato letteralmente circondato da una colonia israeliana che ha le sue reti di recinzione che corrono a meno di 10 metri dalle case dei palestinesi, molto più vicina di quanto sia vicino il villaggio dove è la nostra casa alla colonia vicina.
Le undici latrine verranno costruite in due fasi. Prima i palestinesi faranno i buchi per terra e poi una associazione spagnola che paga anche i lavori di scavo manderà dei volontari che in una settimana costruiranno le latrine. Ma tutto questo senza autorizzazione. Per questo Id ci ha chiamato, vuole che restiamo con loro nel caso venga la polizia ad impedirgli di proseguire lo scavo. Noi dovremo solo fare i testimoni, cosa che probabilmente già servirà ad impedire l'arresto.
Fortunatamente i lavori sono in mezzo alle case per cui la paura del giorno prima era infondata. Non saremmo rimasti al sole per tutto il giorno, anzi poco dopo che ci siamo seduti all'ombra osservando un signore basso e corpulento che maneggia un martello pneumatico arriva il secondo te della giornata.
Dopo una mezz'ora arriva una macchina della polizia della colonia che da dentro si ferma ad osservare. Gli operai continuano a lavorare seminascosti da alcune coperte ma il rumore del compressore e del martello pneumatico è molto alto. A noi ci chiedono di rimanere seduti e defilati anche se subito mi ero messo a filmare in direzione della colonia facendo il vago per arrivare a filmare l'auto della polizia. La polizia poi se ne va lasciando in ansia tutti.
Ogni tanto, quando si avvicinava qualche mezzo sospetto io e Fra tiravamo fuori la videocamera. Sembravamo due pistoleri col le loro amate pistole. Anche Id ci scherza sopra. In effetti queste telecamere per questi palestinesi sono armi potenti, che li fanno sentire sicuri.
Il resto del giorno però passa in una condizione atarassica. Nello stupore di Id non si fa vedere più nessuno, né polizia né militari. Anche volessimo dare una mano ci viene chiesto di rimanere estranei ai lavori per poter essere meglio semplici testimoni. Noi stiamo sotto una tenda a parlare con qualcuno dei figli della famiglia a cui stanno costruendo la latrina (non ne mancano perché sono 8 figlie e 11 figli) e ogni tanto ci portano un te. A pranzo ci offrono un piattone con un imbrogliata di pane arabo e verdure condite con molto olio e pecorino, molto gustoso.
A metà pomeriggio un piccolo momento di tensione perché una jeep e due humvee (grossi jeepponi militare larghi larghi) che in mattinata erano passati senza fermarsi al ritorno si fermano vicino al villaggio e i militari scendono. I palestinesi sono un po' preoccupati anche se ci dicono che per loro è una cosa abituale vedere questi veicoli fermarsi al villaggio vista la loro vicinanza alla colonia. Anche la pattuglia militare però poco dopo riparte senza disturbare il lavoro di scavo che avanza.
Intanto che siamo lì una delle bambine di quattro o cinque anni, una vera bambolina bisquit, si avvicina a me e comincia ad sfiorarmi la testa calva (che da queste parti è una vera rarità riservata solo alle persone molto anziane). Io mi metto a scherzare con lei ed arriviamo quasi a sfiorarci il naso. A quel punto però uno dei suoi fratelli di uno o due anni più grande di lei comincia a sgridarla e a darle anche dei colpi. Io cerco di dirgli di non farlo. Quando poi la bimba si riavvicina a me nuovamente il fratello riparte alla carica per allontanarla. Di nuovo cerco di dirgli di lasciarla stare ma si sente investito di un compito superiore. E la bambina si allontana con un visino che era un enorme punto interrogativo. Non so se alla fine si metterà il velo sperando di trovare un marito che la terrà in casa a lavorare e a fare figli o se invece lascerà la sua casa per emigrare in qualche altro paese in cui essere libera di relazionarsi con persone dell'altro sesso senza essere redarguita, ma sicuramente non stava capendo cosa c'era di male nella sua voglia di affetto e di comunicazione.
A tardo pomeriggio, quando il buco della prima latrina è completato e i beduini si stavano apprestando ad attaccare il secondo noi dobbiamo partire. Ci chiedono di tornare il giorno dopo e magari anche di dormire lì in modo da poter avere qualcuno anche se continuano a scavare la sera. Si vede che ci tengono molto alla presenza internazionale.
Lungo la strada Fra rimane un po' indietro e alla fine, quando gli dico che abbiamo messo 50 minuti mi dice “Un record di velocità. Meno male che avevi paura di non farcela”. In fondo un beduino si era stupito quando gli ho detto che avevo 51 anni dicendomi che me ne aveva dati al massimo 30, bontà sua, anche se in effetti i trentenni di qui sembra che abbiano 50 anni. La vita da queste parti ti consuma presto.

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Per mettersi in mezzo. (5)

19/7/09
Stamattina sveglia alle 5. Un dramma. Dobbiamo andare io e Ale a Tuba per accompagnare i bambini che vanno alla summer school. Li prendiamo al villaggio e andiamo con loro, uno in cima e uno in fondo, fino ad un angolo da cui vediamo i militari che la Knesset, il parlamento israeliano, ha decretato li debbano accompagnare fino alle porte del villaggio. Il motivo è semplice. Nel tratto di strada che porta da Tuba al villaggio i coloni della colonia israeliana vicina spesso li assalivano con bastoni e catene. Per un certo periodo i volontari internazionali li hanno accompagnati ma dopo una volta che i coloni fecero parecchio male a volontari e bambini la Knesset ha stabilito che sarebbero stati i militari israeliani ad accompagnarli. I coloni in questo periodo hanno attaccato anche i militari, ma con un po' più di discrezione.
Siamo arrivati a Tuba e alle 6:10 c'erano già parecchi bambini, qualcuno proveniente da un accampamento lontano qualche chilometro in più. Tre cammelli se ne stanno comodamente assisi nei campi. I bambini sembrano usciti dalla lavanderia, tutti con le loro magliette e pantaloni puliti, le bimbe più grandi con il velo e qualche maglietta in più per evitare il pericolo che un pezzettino di pelle possa spuntare. E invece vengono tutti da accampamenti di tende o da grotte scavate nella roccia calcarea. Mio figlio, nonostante l'acqua corrente e la lavatrice è spesso più sporco.
Ad un certo punto vediamo passare la jeep dei militari e ci avviamo verso il punto dello scambio. I militati per paura di essere aggrediti lontani dal loro mezzo in un tratto che può essere fatto solo a piedi evitano di arrivare al punto che ha stabilito la Knesset. Anche noi ci fermiamo in un punto da cui si vedono i militari per non oltrepassare il percorso sotto giurisdizione dei militari perché i coloni la considererebbero una provocazione e così i bambini devono fare un centinaio di metri da soli a rischio delle aggressioni dei coloni sotto il nostro sguardo che, per quanto vigile, è solo uno sguardo. Arrivati dai militari i bambini vanno fino al cancello vicino al villaggio dove ci saranno altri volontari ad accoglierli. E questo ogni mattina che c'è scuola o c'è il summer camp. E all'ora di pranzo dovremo fare il contrario. Finito l'impegno con i bambini passiamo all'accompagnamento dei pastori. Sono le 7 e mezza e la giornata è già cominciata da un po'. I pastori sono già partiti da un pezzo, prima che faccia troppo caldo. Bisogna andare a cercarli tra le colline. Nel posto solito non ci sono, continuiamo a girare per le colline finché ad un certo punto sentiamo un belato. Mi avvicino e vedo il pastore che si sbraccia. Devo rispondere subito con un ampio saluto per rassicurarlo che non sono un colono ma un amico. Quando li raggiungiamo troviamo i due pastori, uno giovane e un anziano che di solito non porta mai le bestie al pascolo. Il giovane parla inglese e riesco a parlare un po' con lui. L'anziano ha la stessa voglia di parlarmi e non desiste a chiedermi le cose anche dopo che gli dico “Ana ma teke arabi”. Come io non so l'arabo lui sa solo quello ma cerca in ogni modo di parlarmi. Purtroppo alla mia età non riuscirò più ad impararlo ma in questi giorni mi viene una voglia matta di farlo. Le lingue bisogna impararle da giovani, quante più possibili.
Giriamo per qualche ora tra le colline. E così capisco la storia di Davide e Golia. Da queste parti dove i cani sono animali impuri, per guidare le greggi si prendono pietre da terra che mai ne mancano e si tirano vicino alla bestie per distrarle dal continuare a mangiare le piante. I bambini pastori sono dei veri campioni di lancio della pietra, che sia per gestire gli animali o per centrare gli humvee dell'esercito israeliano.
Le pecore e le capre si mangiano questi cardi e cespugli pieni di spine come se fosse lattughina tenera. Le fibre non gli mancano. Tornati a casa berranno l'acqua che i pastori tirano dalla cisterna con meno parsimonia che per sé.
Ma prima di tornare a casa, sulla via del ritorno, mi attardo un po' e scendendo un costone per attraversare un huadi, secco come sempre, sento un rumore di pietre dietro di me.
Mi volto e vedo due persone correre a salti incontro a me. Quando vedono che mi sono voltato si mettono a urlare sbracciandosi come fosse un gioco notturno di paura. Ma sono le 11 del mattino e il sole spacca le pietre a 35 gradi all'ombra e nei giochi notturni non c'è qualcuno che tira pietroni da mezzo chilo in direzione degli avversari..
Urlo ad Ale “Arrivano”. Lei sulle prime pensa sia uno dei miei scherzi e gli viene in mente il pizzaiolo di casa sua quando avverte per le pizze in ritardo. Ma non sono due pizze, sono due coloni che vogliono minacciare i pastori palestinesi. Pochi secondi per decidere cosa fare. Ale mi urla “Scappa!” ma io osservo che non hanno né armi né bastoni in mano. Decido di fermarmi per proteggere la fuga di Ale e dei pastori. Quando mi arriva vicino il primo chi chiedo “What's the problem?” con la mani basse aperte in avanti. Arriva urlando e quando il suo viso è a non più di venti centimetri dal mio si ferma. Lo guardo negli occhi, dei bellissimi occhi celesti bordati di blu. Ha un fazzoletto come i black block ma bianco che gli copre il volto e lascia intravedere quel suo punto così debole che gli impedisce di ignorare la mia umanità. Avrà tra i 15 e i 18 anni, un po' come i miei studenti, un po' cazzone e un po' sbruffone come loro, alla ricerca di se stesso. Rimane muto mentre l'altro, un po' attardato urla ancora un po' e poi si zittisce anche lui. Anche l'altro ha il volto coperto ma di nero, proprio come i black block di G8ttiana memoria. Il “bianco” mi fa segno di andare via, quasi un invito, un consiglio, in ebraico e con le mani. Io mi volto e senza correre mi avvio continuando la mia strada. Non so cosa stanno facendo, non so se stanno raccogliendo delle pietre per lanciarmele nella schiena o se invece se ne stanno andando via ma non mi volto, non voglio fargli credere che per il loro intervento ho smesso di fare quello che facevo e spero che il “sia fatta la tua volontà” che ho pregato per santificare la festa corrisponda alla mia volontà.
I pastori e Ale sono scappati avanti con il gregge, poi lei e il pastore giovane si sono messi a riprendere la scena da lontano. Quando li raggiungo mi chiedono come sto. Tutto bene, e continuiamo a camminare fino a Tuba. Il pastore giovane guarda Ale e ricordando per la prima volta il mio nome le dice in arabo “Carlo è forte”. 1000 punti da parte.
Dobbiamo aspettare che i bambini ritornino dal summer camp così per non cuocere al sole la figlia del pastore anziano, occhi chiari e sorriso bellissimo, ci invita sotto una tettoia di tela che fa da soggiorno e da camera da letto. Il padre viene dopo un po' e lei le sistema un piccolo materasso. Ale fa vedere il video dell'aggressione dei coloni a tutti e poco dopo ci offrono una aranciata fatta con l'acqua del pozzo e dello sciroppo. Forse sto rischiano più di prima coi coloni ma la bevo tutta. Ale tituba ma quando arrivano col te alla salvia la invitano a bere prima l'aranciata, non può rifiutarsi. Prima di andare verso l'appuntamento con i bambini passiamo dalla famiglia del pastore giovane. Col figlio che parla inglese è più facile chiacchierare. Vivono in una grotta scavata in 40 giorni dal nonno nel 1967, poco prima della guerra. Venivano da un'altra parte della Palestina e hanno avuto la sfortuna di finire dove qualche anno dopo avrebbero costruito la colonia. Ci offrono uno spuntino, pane, pomodori, cetrioli sottaceto e un formaggio secco che a vederlo sembra gesso da ginnasti. Ale suppone che per loro non abbiano molto di più da mangiare e mi limito a pizzicare qualcosa per non offenderli ma loro insistono. Mi spiegano che vendono il formaggio a 10 euro al chilo e me ne offrono un pezzettino da portare via.
Alla fine decidiamo di andare verso l'appuntamento dei bambini. Aspettiamo che ci diano il segnale che i militari sono arrivati a prelevarli prima di avvicinarci. Al quarto richiamo finalmente i militari arrivano. Noi gli andiamo incontro e scopriamo che a fianco del percorso c'è un colono che cura le viti. Questa volta ha altro da fare e i bambini corrono veloci verso casa. Finalmente alle 13 siamo sulla via di casa cotti dal sole.
La sera prima di cena Fra e Miki che stavano andando a Tuba per dormire nella grotta dei pastori che hanno paura di attacchi notturni incontrano i coloni che li inseguono. Loro fuggono nella valle e ci chiamano per farsi dare un aiuto. Io e Ele corriamo in cima alla collina per dargli indicazioni sulla posizione dei coloni. Loro incontrano un pastore sull'asino che si è allontanato dalla strada quando ha visto il pickup dei coloni. Alla fine continuano alla volta di Tuba e noi torniamo al villaggio. Lungo la strada un contadino sul trattore ci invita a tornare con lui e, arrivati, un bambino scalzo ci offre un biscotto per uno. Alla sera siamo invitati a cena a casa del punto di riferimento del villaggio per la azioni nonviolente. Penso che stanotte dormirò.

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Per mettersi in mezzo. (3)

17/7/09
A pranzo gnocchi. Dato che oggi siamo tutti insieme a Gerusalemme e la cosa è abbastanza rara propongo di fare gli gnocchi per tutti. Sono venuti buoni ma proprio pochi. Peccato.
Nel pomeriggio siamo partiti per il villaggio. Lungo la strada incontriamo il muro della vergogna. Chilometri e chilometri di muro più o meno alto, più o meno spesso, che separa la terra dalla terra. Dovrebbe salvare gli israeliani dagli attacchi terroristici dei palestinesi ma come molti muri di questo tipo non impedisce di essere attraversato ma rende la vita invivibile a chi ci vive attorno.
Al cambio di bus ci caricano nel bagagliaio perché non c'è abbastanza posto nei sedili. Viaggiando con questi mezzi ci si rende conto della diversa percezione del pericolo e dell'importanza della propria vita. Sembrava di viaggiare con un ventenne un po' alticcio eppure era un trentenne del tutto sobrio ma la sua percezione del rischio era decisamente diversa dalla mia e guardando le facce dei passeggeri palestinesi veniva da concludere che fosse condivisa la stessa percezione. Come a dire che per noi la vita è qualcosa da salvaguardare molto di più, almeno la propria. Per loro forse è qualcosa che può essere rischiata più facilmente.
La sera al villaggio piccolo giro attorno alle case. L'aria è dolce e la brezza delicata. Le case tirate su alla come viene stonano in questa natura. Verrebbe voglia di andare a camminare nel crepuscolo e nel silenzio ma non si può. Bisogna tornare, al buio non si può andare in giro perché ci sarebbe allarme generale e tutti uscirebbero a vedere chi è che si aggira al buio. Eppure sarebbe così bello potere stare alla luce delle stelle nel silenzio di questi terreni sassosi.
Tornati alle case raccolgo bottiglie e sacchetti sparpagliati attorno alla strada. Mi dispiace vedere questa spazzatura sparpagliata ovunque. Ne raccolgo un sacco bello grosso e lo lascio al punto di raccolta. Domani verrà bruciato.
Dopo cena viene organizzata una scuola di debka per i ragazzini del villaggio. Ma le ragazze no. Una bambina si trattiene a stento seguendo il ritmo della musica. Ha una voglia pazza di lanciarsi ma non potrà, è femmina. La danza è solo per i maschi.

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24/11/08

Che fare?

Sempre più spesso ci sono persone che si domandano che fare per uscire dal vortice che sta facendo sprofondare la convivenza civile e sociale.
Votare non ha più senso perché il consenso viene manipolato e stravolto per mantenere il potere da chi lo detiene, l'azione volontaria viene sfruttata per i fini più diversi, spesso di lucro, l'azione virtuale rimane inefficace.
Il fatto è che penso che le popolazioni necessitino di livelli di attivazione molto significativi. Questi possono essere raggiunti per il dolore sofferto (come nel caso delle guerre) o per una pratica del conflitto che deriva da una capacità critica. Non auspicando la prima ipotesi che normalmente richiede un costo veramente alto, l'altra alternativa di trasformazione e miglioramento risulta la migliore. Ma se a questa si oppone la sterilizzazione della capacità critica l'unica possibilità che rimane è drammaticamente la prima.
Proprio per questo, se si vuole evitare la sofferenza dell'esplosione violenta dei conflitti, bisogna abituarsi a praticare una capacità critica e ad affrontare i conseguenti conflitti, imparando possibilmente a gestirli e traformarli in maniera nonviolenta, che non vuole dire semplicemente simbolica.
La sfida è tra accettare che certi pazzi che pensano di poter sfruttare sempre di più gli altri continuino ad anestetizzare la capacità critica altrui e nostra impedendoci di ribellarci fino a quando la sofferenza estrema farà esplodere violentemente il conflitto sociale e metterà a repentaglio la vita di tutti oppure cominciare ad agire per recuperare la capacità critica delle generazioni, riaddestrandoli anche al conflitto interpersonale e sociale. Per fare questo però bisogna risvegliare noi stessi dal torpore delle coscienze in cui siamo immersi ed aiutare gli altri a fare altrettanto sia sensibilizzandoli ma soprattutto mettendo in ballo la vita stessa nostra e degli avversari, non tanto insidiando la loro incolumità quanto coinvolgendoli anche emotivamente e fisicamente nella presa di coscienza delle conseguenze dei loro atti. Questo può avvenire tramite la cosiddetta "azione diretta", una pratica politica che viene messa in opera con strumenti anche molto diversi tra loro (da quelli violenti a quelli nonviolenti) e di cui però si sta perdendo la conoscenza.
L'alternativa è lo scivolare verso un imbarbarimento dei disequilibri che si fermerà solo quando la sofferenza delle popolazioni le spingerà a ribellarsi, cosa che di solito è avvenuto in maniera violenta e cruenta.
Non basta più mandare email o firmare petizioni e perfino fare scioperi di opinione o partecipare a cortei. Sono metafore conflittuali che hanno senso solo nella misura in cui le parti in gioco hanno coscienza dell'importanza di limitare sul piano simbolico lo scontro per fare in modo che il conflitto non abbia conseguenza nefaste per entrambe i contendenti. Ma in una società in cui l'ignoranza politica delle parti in gioco fa perdere la coscienza dell'importanza dei conflitti simbolici diventa del tutto superfluo rimanere su tale livello quando manifestazioni di centinaia di migliaia di persone vengono ignorate perché banalmente non creano nessun problema, neppure alla semplice possibilità di spostamento dell'avversario o gli scioperi non intaccano di un pelo il suo portafoglio.
"Azione diretta" non è solo il terrorismo o lo violenza dei black block, ma può essere il blocco dei treni che portano armi o anche solo il blocco delle sfilate di auto blu ad inaugurazioni o cerimonie.
Se i potenti pensano di poter ignorare gli altri uomini saranno gli altri uomini che dovranno farsi prendere in considerazione e se non si riuscirà a fare ciò con strumenti efficaci ma incruenti basterà aspettare per vedere scorrere il sangue. Cossiga, il più squallido rappresentante del potere, docet.

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10/08/08

Mani alzate

Purtroppo la distanza non mi permette di partecipare alle azioni della Campagna No Dal Molin e mi devo limitare a leggere i resoconti altrui.
Se da una parte trovo molto valido il cammino che la Campagna contro il Dal Molin sta facendo, mettendo in campo azioni non solo simboliche ma vere Azioni Dirette Nonviolente (ADN) con creatività e determinazione, ho delle perplessità su alcune modalità di azione.
Non so che formazione abbiano avuto le persone che partecipano all'azione, so solo che hanno fatto formazione anche con persone ritenute molto esperte riguardo all'ADN, ma mi pare di vedere ugualmente delle modalità su cui si è riflettuto poco.
Partendo dal resoconto dell'ultima azione di blocco della stazione di Vicenza a conclusione della fiaccolata, se da una parte è molto valida l'azione"situazionista" che raggiunge lo scopo arrivando a occupare i binari per una via secondaria rispondendo dinamicamente alla struttura militare (e quindi statica) delle foze dipolizia, ecco riapparire la mani alzate durante la manifestazione.
La prima volta che sono apparse è stato in una data decisamente infausta, il G8 di Genova. Non so in allora chi ebbe l'idea di andare incontro alla polizia a mani alzate (a volte dipinte di bianco). Avvenne in Piazza Manin dove coloro che facevano riferimento alla nonviolenza che non avevano però avuto nessuna preparazione all'ADN vennero spazzati via dalla violenza di blackblock e polizia. Avvenne durante il corteo del giorno successivo dove vecchi e bambini furono minacciati e colpiti da agenti senza più nessun controllo. Non avvenne in Piazza Portello dove invece altri gruppi con una esperienza di ADN che avevano anche fatto formazione sul tema hanno tenuto l'unico blocco totale che ha avuto successo per tutta la giornata senza subire la violenza né dei black block né della polizia. Se si è vissuto e si studiano le ADN, risulta evidente che il segnale delle mani alzate è un segno di sottomissione che ha lo scopo di disinnescare la violenza di chi attacca se questo ha specularmente paura della violenza che potrebbe subire. Nello scontro in cui le braccia (e le armi) si protendono contro l'altro, il segnale delle mani alzate significa "non ho più intenzione di farti del male", e questo leva il motivo all'attaccante di continuare la sua azione violenta. Nel caso dell'ADN, però, la lettura è del tutto opposta. Nell'ADN chi attacca in maniera violenta non deve sentirsi minacciato da chi fa l'azione e se lo fa è su istigazione o magari sotto l'effetto di alternazioni psicologiche. In ogni caso non c'è inibizione della violenza a causa della paura di subire violenza, ma per una alterazione del rapporto vittima carnefice. Alzare le mani in un caso simile vuol dire riconoscere all'altro, a chi sta facendo violenza, il pieno potere su chi alza le mani, una rinuncia alla propria dignità e ai propri diritti, un affidarsi completamente, come animale sacrificale, all'arbitrio dell'altro. Se invece le mani vengono alzate da una folla che avanza, poi, questo segnale viene trasformato in un segno di minaccia, perché avanzare con le mani alzate contro e non semplicemente verso l'altro trasforma il segnale inibitore della violenza in un segnale di minaccia, rendendolo quindi ambiguo e in altre situazioni non più efficace per inibire la violenza. Altre sono le posture e gli atteggiamenti da tenere durante l'ADN. Ognuna ha un suo significato ed effetto ed è importante tenerne conto e per lo meno avere l'attenzione di riflettere sugli errori passati per evitarne in seguito. L'ADN può avere una componente di sacrificio dove si può anche prevedere di subire violenza, ma deve essere una cosa previste e a cui si è preparati (e non penso che i bambini e le nonne di Vicenza prevedessero di ricevere delle manganellate). Altrimenti si rischia quello che forse è stato il più devastante effetto a catena del G8 di Genova, l'allontanarsi delle persone dall'azione per la paura di trovarsi in situazioni in cui non ci si sente preparati. Adesso la paura dell'imposizione nella vita dei cittadini come a Vicenza, in Valsusa o in altre parti ancora ha nuovamente risvegliato dopo anni la consapevolezza della necessità dell'azione diretta, ma bisogna fare attenzione a non farla svanire sotto le manganellate della polizia.
Penso sia importante riflettere anche sulle modalità concrete di azione. Facendo formazione all'ADN si cerca di solito di affrontare in maniera ragionata anche sugli aspetti psicologici e relazionali perché ne sono componente essenziale. Sicuramente negli ultimi anni il tema della formazione all'ADN e ancor più della formazione dei formatori non è stato affrontato correttamente. Ancora di più quello della relazione tra formazione e ADN. Penso sia importante invece riprenderlo per dare piena efficacia all'ADN come strumento di lotta politica.

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16/05/08

Passare all'azione

Mi domando cosa ancora dovremo aspettare, noi persone che abbiamo a cuore i diritti e la giustizia, prima di passare all'azione.
E quando parlo di passare all'azione non mi riferisco all'azione politica o all'azione culturale, ma mi riferisco all'azione diretta, quella nonviolenta. Sempre che si abbia chiara la differenza tra le prime e la seconda.

I razzisti e gli sfruttatori, sentendosi anche le mani slegate dalla tornata politica nazi-fascista che sta avanzando non aspettano a passare all'azione diretta, bruciano campi nomadi, ammazzano ragazzi col codino, fanno ronde coi bastoni. Noi continuiamo a parlare di come fare, facciamo analisi, ci indignamo. Ma poi facciamo banchetti, petizioni, firmiamo appelli per chiedere ad altri di agire, ma non agiamo. Aspettiamo che siano le istituzioni a dare delle risposte, e queste, al contrario, con la loro impotenza o la loro connivenza, fanno sentire quelli sempre più con le mani slegate.

Sarà che De André cantava
"Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio, era normale,
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera..."
ma noi siamo senza più "cuccioli" che hanno il tempo anche per la galera. Li abbiamo lasciati fagocitare dalle curve ultras per cercare uno scontro che in famiglia non c'è più, li abbiamo lasciati educare dalla tv di Sgarbi e del Grande Fratello "che oggi sono stanco e non ho voglia di problemi", li abbiamo lasciati dormire nelle loro stanzette "meglio lì che per strada".
Oltre una certa età si riescono a organizzare conferenze e partiti ma per l'azione diretta serve energia, serve intraprendenza.

Così ci siamo fatti terra bruciata dietro, e continuiamo a parlare di come fare, facciamo analisi, ci indignamo. E poi facciamo banchetti, petizioni, firmiamo appelli per chiedere ad altri di agire, ma non agiamo.
Per un po' ho sperato che i giovani non venissero alle nostre riunioni perché avevano le loro, e mi sono messo a cercarli, ma non li ho trovati, se non rare perle. Non penso che si nascondano, lo spererei.
Li abbiamo abbandonati nella loro precarietà che li incattivisce e li rende cinici senza riuscire ad essere credibili.

Ma se non ci sono i giovani ad agire (o se ci sono, sono a rompere e spaccare) chi altri potrà agire?
Come i lillipuziani di piazza Manin che alzavano le mani sperando che la polizia li difendesse dal black block ci arrendiamo?

La vedo bigia!

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14/03/08

Bandiera della pace all'Eredità su RAI 1



Il 17/1/2003, pochi giorni prima della grande manifestazione contro la guerra in Iraq a cui il governo italiano partecipò contro il volere della stragrande maggioranza degli italiani, seguendo le pressioni dei miei figli sono andato al quiz "L'eredità" su RAI 1 e al momento della eliminazione ho invitato gli spettatori a mettere alle finestre la bandiera della pace. Una azione che videro più di 5 milioni di persone e dopo la quale il numero di bandiere della pace esposte in Italia divenne enorme. Purtroppo neppure l'evidenza fermò il governo Berlusconi dallo scendere in campo ignorando la volontà degli italiani.
E' stata una azione diretta nonviolenta che ha permesso anche agli operatori della televisione di esprimere la loro contrarietà alla guerra. Nel montaggio della trasmissione, infatti, la mia presenza è stata valorizzata, levando tutte le incertezze nelle risposte, prendendo le inquadrature e le battute migliori. E nel momento più importante, quando propongo di esporre le bandiere, hanno aggiunto una musica di fondo che ha reso il mio intervento estremamente toccante.
Quando si ha a che fare con i mass media non bisogna dare per scontato di avere a che fare con persone senza etica disposti a fare tutto per un po' di soldi. Bisogna fare attenzione ma è possibile dare delle occasioni a persone che magari vivono male il loro essere in strutture annientanti di dare forza al proprio pensiero.

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