Per mettersi in mezzo (18)
Oggi c'è il Festival della Resistenza Nonviolenta. Inframezzato dalle “dabke” fatte dai bambini del villaggio si susseguono alcuni interventi delle associazioni e dei gruppi che collaborano con il villaggio nelle iniziative. Era bello sentire un attivista di Ta-ayush parlare in israeliano con la traduzione in arabo. Le ragazzine facevano delle litanie alternate. Alla fine viene rappresentata una scenetta dove alcuni pastori vengono aggrediti dai coloni e i soldati dell'esercito invece di proteggere i pastori aggrediti li vessavano ulteriormente e una scenetta in cui, se non ho capito male, si parlava di un matrimonio finito male.
Tornando alla casa mi dicono che la ruspa che stamattina mi ha nuovamente svegliato martellando l'ennesimo buco è stata fermata dalla DCO, l'autorità israeliana che controlla gli aspetti civili dell'occupazione. Mi dicono che ci sono due americani che controllano quello che sta succedendo. Vado a vedere anche io, visto che è anche vicino. La ruspa sta ancora scavando, c'è un humvee e una jeep fermi lungo la strada, dei soldati che parlano con i palestinesi. Sembra si stiano mettendo d'accordo. Mi avvicino ad uno dei due graduati, mentre l'altro sta telefonando.
Gli chiedo cosa sta succedendo. Mi chiede da dove vengo, dico Italia, mi chiede il passaporto, glielo do. Mi dice che hanno dato ordine di interrompere i lavori. Gli chiedo cosa succede se non smettono di lavorare. Quello che ha finito di telefonare mi dice che gli ha concesso di spostare le rocce che ostruivano l'entrata di casa “dove ci sono donne e bambini” ma poi smettono. Chissà cosa avrebbero fatto se fossero stati tutti maschi adulti. Mi chiede come mai sono lì e gli spiego che sono in visita e che sono venuto per cercare di capire le ragioni di questo conflitto. Intanto che sto chiacchierando con loro arriva una delle due americane che erano a debita distanza a guardare e mi chiede sussurrando se ho il passaporto. Le dico di si. Poi mi suggerisce di stare più lontano dai militari. Loro di solito non ci parlano, al massimo si limitano a urlargli dietro. Le dico di non preoccuparsi.
Dopo un po' la ruspa finisce di spostare i pietroni. Chiedo ai militari se gli rilasceranno un foglio che gli ordina di interrompere i lavori. Il primo di indica il secondo come a dire lo fa lui. Alla fine però non vedo girare nessun foglio. Dubito che ne abbiano consegnato uno ma questo significa che non sarà possibile neppure fare un ricorso per via amministrativa. Come per la linea della corrente elettrica.
Nel pomeriggio dopo lungo temporeggiare partiamo per Gerusalemme. Fabio ci accompagna a vedere Hebron e la sua colonia di ebrei.
Nel centro storico della città, che è completamente araba da secoli, dato che è presente il luogo che si ritiene sia la tomba di Abramo si sono andati ad installare dei fondamentalisti ebrei che hanno occupato in alcune situazioni il piano superiore della case creando non pochi problemi ai negozi sottostanti che in parte hanno chiuso e altri invece hanno dovuto mettere delle reti per cercare di bloccare il lancio di oggetti dall'alto. Una via della città vecchia che un tempo era vivacissima e congiungeva due lati della città adesso è bloccata da dei containers perché è stata occupata dai coloni. Ci addentriamo e arriviamo ad un check point che porta all'edificio che racchiude la tomba dei patriarchi. Prima l'edificio era una moschea ma adesso è stato diviso in due, metà moschea e metà sinagoga. Ci mancherebbe che anche i cattolici rivendicassero Abramo come proprio capostipite e pretendessero una fetta anche per loro. Anche se, per altro, almeno i cristiani non escludono i credenti in altre religioni dai loro luoghi di culto per cui un cristiano non può andare a visitare le tombe dei patriarchi a meno che non si finga ebreo o mussulmano.
Ripartiamo da Hebron e quando arriviamo a Betlemme avviene una piccola tragedia. Nella foga del cambio di bus mi cade il cellulare ma me ne accorgo solo quando sono già in viaggio per Gerusalemme. Non sembra ma in certe situazioni un evento che da sicuramente fastidio perché non è solo una questione di soldi ma di informazioni importanti o che si ritengono preziose perse, può diventare molto più grave. Intanto che Gerusalemme si avvicina mi vengono in mente tutti i problemi che la perdita comporta anche nei giorni successivi. Quando arriviamo a casa sono veramente sconfortato e non mi tira su il pollo fritto e patatine che andiamo a prendere in centro.