Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

23/07/09

Per mettersi in mezzo (9)

23/7/09
Anche oggi mi tocca il gate. I bambini sono solo 11, col passare del tempo stanno diminuendo, si vede che non tutti si divertono al summer camp o i genitori li usano per altre incombenze. Spero non sia perché ultimamente le volontarie arabe si sono un po' defilate lasciando agli internazionali l'animazione senza poter parlare in arabo. Nel caso sarebbe meglio fosse perché gli internazionali fanno giochi poco divertenti piuttosto che perché fanno giochi che non piacciono ai genitori dei bimbi. Ma forse questa attenzione sarebbe eccessiva in questo mondo in cui i bambini sono del tutto allo stato brado fino a che non arrivano all'adolescenza e poi vengono incasellati in un mare di regole, obblighi e divieti.
Oggi i due militari a piedi sono un po' meno rigidi e quando Miki li ringrazia fanno anche un sorriso. Finisco il mio compito mandando un messaggio con il numero di bimbi arrivati e la targa della jeep.
Finito il summer camp andiamo sulla collina di fronte alla colonia per controllare che i bambini non abbiano avuto problemi dopo l'attraversamento. Non sempre c'è qualcuno dall'altra parte ad aspettare ma si osserva col binocolo dall'alto della collina. Arriva il primo messaggio per ddire che i bambini sono partiti, poi uno per dire che sono fuori dall'osservazione di chi sta al gate. A quel punto chi sta dal lato opposto manda un messaggio quando vede spuntare i bambini e uno quando sono fuori dal tiro dei coloni. Aspettando sotto il sole cocente mitigato appena dal vento che spazza la cima faccio osservare a Ele che i protocolli forse potrebbero essere migliorati. Per esempio stamattina ho mandato il numero di targa a chi era a controllare dalla parte di Tuba, cosa per loro del tutto insignificante mentre loro non mi avevano comunicato quanti erano i bambini che sarebbero dovuti spuntare lungo la strada per verificare che non se ne fosse perso qualcuno.
Ora dal gate ci comunicano che i bambini sono solo 7 quando stamattina erano 11. Mi domando se i 4 che mancano hanno perso la coincidenza e dovranno farsela a piedi per la strada lunga o se invece è tutto normale e i bambini che mancano restano a dormire con i cugini in qualche casa del villaggio. E comunque penso che questi conteggi dovrebbero essere verifica prima.
Vediamo i bambini correre lungo i capannoni delle galline e poi per un bel po' non vediamo niente. Cominciamo a preoccuparci ma finalmente vediamo sul valico che dista da noi in linea d'aria almeno un chilometro dei puntini che corrono e saltano. Domando cosa potremmo fare da così lontano nel caso ci siano problemi e soprattutto come potremmo sapere che ci sono dei problemi se i bambini non hanno nessun modo per avvertirci di un possibile pericolo, anche solo un drappo rosso da sventolare. Mi rispondono che se vediamo qualche pericolo dobbiamo correre fino a là, 45 minuti a piedi che potrebbero diventare, forse, 30 correndo tra i sassi e le valli. Mi vengono dei dubbi ma mi rendo conto che l'alternativa è fare ogni giorno 1 ora a piedi ad andare e 1 a tornare come quando ci sono andato con Ale e ne vale la pena se poi qualcuno rimane a controllare il pascolo. Comunque mi rimane il dubbio che ci siano ampie possibilità di miglioramento ma per ora me ne sto a osservare e riflettere, sono appena arrivato e non voglio cominciare a rompere. E poi in questo periodo i coloni sono meno attivi, sarà anche il caldo. Ci avviamo verso il villaggio e i miei dubbi vengono confermati. Lungo il sentiero di ritorno incontriamo due dei bambini che probabilmente si sono attardati e che ora stanno facendo la strada lunga che è più defilaa ma passa ugualmente abbastanza vicina alla colonia in alcuni punti. Decidiamo di ritornare nel punto di osservazione a controllare che non facciano brutti incontri ma forse sarebbe meglio se ci fosse una contabilità di chi va e chi viene in modo da evitare simili evenienze.
Oggi Michel e Joy tornando dal controllo del pascolo lungo la bypass road sono stati fermati dalla polizia. Michel è appena arrivato ed è decisamente meno scorbutico degli altri americani. Mi fa vedere la ripresa del controllo dei documenti e fa subito un commento: “Joy was very aggressive”. Poi mi spiega che mentre a lei non volevano dare spiegazioni quando chiedeva perché le prendevano i documenti con lui sono stati molto più cordiali dicendogli che in effetti può stare anche sulla strada senza problemi. Ci siamo fatti due chiacchiere sulla formazione degli americani e mi dice che in effetti lui sta facendo un periodo di prova anche per vedere se il loro approccio è confacente al suo. Dalla sua espressione commentando l'accaduto non sembrerebbe molto, qualcuno che senza motivo aggredisce verbalmente la polizia che chiede i documenti mette inutilmente a rischio se stesso e chi è con lui e questo normalmente è considerato un comportamento irresponsabile.
Per sopportare un po' meglio il caldo intanto che scrivo al computer sono entrato in casa a mi sono messo a torso nudo ma quando tornano gli americani mi sgridano perché potrei scandalizzare eventuali visitatori. Quando faccio presente che mi ero permesso tale libertà perché ero in casa mia la risposta è stata che la porta è aperta e chiunque può entrare. Evito di fare ulteriore polemica, mi rimetto la camicia ma la rabbia che provo è veramente molta. Trovo veramente poco ragionevole questo atteggiamento riguardo al rispetto degli altri. Penso che il fatto che per dimostrare rispetto verso gli altri devono adeguarsi esteriormente alle loro regole sia la dimostrazione che non sono riusciti a dimostrare nella sostanza il loro rispetto agli abitanti del villaggio semplicemente perché non hanno instaurato un rapporto che non si limiti alla formalità. Mi viene il dubbio che in fondo gli abitanti del villaggio usino gli internazionali per i vantaggi che questi portano e che gli internazionali usino gli abitanti del villaggio per soddisfare la loro necessità di gratificazione ma che in effetti tra loro non ci sia un vero rapporto umano. Penso che il rispetto non si dimostra assecondando l'altro nei suoi usi e costumi, ma riconoscendo all'altro la libertà di avere usi e costumi diversi dai miei alla stessa maniera come l'altro rispetta i miei, pur facendo attenzione a non provocare inutilmente la sensibilità dell'altro. Il rispetto o è vicendevole o non è.

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Per mettersi in mezzo. (8)

22/7/09
Stamattina vado a prendere i bambini al “gate”. Aspettiamo che i soldati vadano a prendere i bambini che arrivano dai villaggi vicini accompagnati dagli americani e li accompagnino dalla parte del villaggio dove ci siamo noi ad attenderli. Arrivano correndo, facendo un po' di fatica a stare tra i soldati. Sono quattro, due davanti e due dietro e imbracciano il fucile mitragliatore alla Rambo ma hanno una faccia da ragazzini. Stranamente sono tutti e quattro a piedi Di solito ce n'è qualcuno a piedi e altri sulla jeep che li segue. Un pastore ebreo sta pascolando le pecore dentro la colonia. Ad un certo punto, quando i bambini appaiono sulla cresta della collina da svalicare comincia a fare spostare il gregge verso un cancello che dà sulla strada che percorreranno i bambini. Ci allarmiamo un po' e tiriamo fuori le telecamere. Poco prima che i bambini arrivino dal cancello una pecora esce in strada e il pastore esce di corsa e la fa rientrare. Poi i bambini e i soldati passano senza problemi e ci raggiungono. Ele annota il numero della jeep e manda il messaggio di conferma agli americani dall'altra parte: “13 kids arrived”, tutto a posto. Un bambino mi prende per mano, una manina ruvida ruvida, e andiamo assieme fino alla discesa, poi mi fa capire che vuole correre per raggiungere gli altri e ci mettiamo a correre insieme fino alla scuola.
Nel pomeriggio arriva una delegazione di italiani guidati da un personaggio politico abbastanza noto. Scherzando con gli altri li definisco “pacifisti da scrivania” anche se almeno loro stanno venendo a toccare con mano come si vive qui. Stanno facendo un giro di una settimana di conoscenza e solidarietà, toccando varie località della Palestina per conoscere le diverse realtà dove sono presenti attivisti nonviolenti. Sono 13500 euro “all inclusive” compresa una quota di solidarietà per i luoghi visitati. All'entrata del villaggio il bus rompe la coppa dell'olio e i visitatori più giovani salgono a piedi mentre quelli più anziani vengono accompagnati in auto per fare i cinquecento metri che li separa dalla scuola. Gli andiamo incontro e scopro che tra loro c'è anche una ragazza che ho conosciuto ad una riunione scout qualche mese fa. Fa sempre piacere incontrare facce note. Arrivano alla scuola un po' provati. Il nostro riferimento locale ha organizzato una specie di spettacolo un po' da villaggio turistico con danze popolari e caffè. I bambini si chiamano per andare dietro una delle ragazze italiane che mette in mostra un bel tanga a filo sottile. Purtroppo l'amplificazione, che poco prima funzionava, quando deve parlare il sindaco si ammutolisce. Finito lo spettacolino di danza gli italiani si spostano dalla nostra casa a visitare il piccolo “museo della resistenza nonviolenta”, dove ci sono fotografie di avvenimenti passati e qualche cimelio, e per entrare nell'esposizione dei lavori della cooperativa di donne a fare un po' di shopping. Messi tutti in cerchio le domande sono molte. Ale, che con Fabio è venuta apposta da Gerusalemme per incontrare la comitiva del personaggio, cerca di dare delle risposte veritiere ma questo un po' indispettisce chi ha organizzato il tutto che vorrebbe dipingerci come degli eroi in prima linea e non come persone normali che si mettono a disposizione di chi vive un conflitto per aiutarlo ad affrontarlo. Forse preferisce che non pensino che con noi ci potrebbero essere anche i suoi accompagnatori.
Viene proposto di spostare il gruppo per visitare le case in costruzione dove è stato arrestato Nasser,. Non tutti ci vanno, un po' per stanchezza e un po' per paura. In fondo è sempre un luogo del delitto. La responsabile della cooperativa delle donne, che era stata convocata per parlare al gruppo, rimane delusa. Provo a proporre che almeno chi rimane la incontri ma pare che nessuno se la senta di tradurre dall'arabo.
Intanto che i visitatori sono dalle case vado sulla collina per cercare un po' di silenzio. Sinceramente questa visita mi ha dato un po' fastidio, ha rimesso in moto alcuni pensieri sull'inadeguatezza di chi parla di pace e nonviolenza ad affrontare sul serio le cose. Per di più è dal primo giorno che vorrei andare fino in cima alla collina ma mi hanno detto che potrei preoccupare i palestinesi inutilmente. A loro basta vedere uno sconosciuto girare per i campi da solo per pensare che i coloni stanno combinando qualcosa contro di loro. Considero che la presenza dei visitatori dovrebbe evitare la preoccupazione vado un po' in alto sopra il villaggio. Immerso nei miei pensieri e cullato dalla brezza fresca della sera vedo arrivare un humvee dell'esercito che entra nel villaggio e si dirige verso le case in costruzione. Avviso gli altri che un po' si allarmano, non è così comune che i militari entrino nel villaggio. Dall'alto seguo i movimenti del veicolo. Ne arriva un altro dall'alto della montagna. Si incrociano poco sotto le casa in costruzione e si fermano uno di fronte all'altro. Dopo un po' ripartono, quello che scende nel villaggio forse sbaglia strada o forse lo fa apposta per dare fastidio, fa un giro non necessario tra le case ma poi se ne va. La tensione cala.
Torno al villaggio, dato che il bus non è ancora stato riparato vengono chiamati dei service, specie di taxi da 7-10 posti, che porteranno via la delegazione. Anche alcuni di noi si aggiungono per tornare a Gerusalemme e quando escono dal villaggio ci telefonano per avvertirci che c'è una jeep dell'esercito che sembra voler fare un check point volante proprio all'ingresso del villaggio. Andiamo a prendere le telecamere a passo sostenuto andiamo a controllare. E' l'imbrunire, c'è pochissima luce. La jeep è lungo la strada da sola. Si apre una piccola discussione sul da farsi. Alcuni andrebbero a vedere dalla jeep per controllare l'attività del check point. Io penso sia meglio non avvicinarsi perché probabilmente la jeep si è fermata solo perché il bus rotto è fermo poco fuori dalla strada e volevano controllare cosa succedeva. Per di più ormai la luce è talmente poca che non sarebbe possibile riprendere niente nel caso succedesse qualcosa al check point. Miki e Gio decidono di andare lo stesso a vedere. Noi rimaniamo lontani a controllare anche se non potremmo fare assolutamente niente se i militari gli facessero qualcosa. Nel frattempo due bus di linea transitando rallentano e si fermano ben lontani dalla fermata. Hanno visto un bus israeliano fermo all'imbrunire sul bordo della strada vicino ad un villaggio palestinese. L'autista dell'autobus rotto deve andare da loro a rassicurarli. Solidarietà tra colleghi.

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22/07/09

Per mettersi in mezzo. (7)

21/7/09
Ieri sera era prevista una riunione di condivisione tra i due gruppi di volontari che convivono nel villaggio. Uno è il gruppo a cui partecipo io che è formato solo da italiani e l'altro invece è formato da nordamericani.. I due gruppi lavorano coordinati dividendosi i diversi compiti di accompagnamento e scorta. Purtroppo è più facile far fare pace agli altri che fare pace con chi si ha vicino. Tra i due gruppi c'è un po' di tensione e una delle due americane presenti ha condiviso la cena scrivendo per tutto il tempo al computer. Alla riunione degli italiani che è seguita ci siamo detti un po' come stiamo. Qualcuno è stanco, i ragazzi che stanno con i bambini sono un po' delusi perché non si sentono valorizzati, io sono un po' scocciato di sentirmi continuamente dire come dovrei essere vestito e come dovrei comportarmi con gli uomini e con le donne. Ci sto facendo un po' le misure ma è veramente noioso dopo aver “lottato” per una vita per vedermi riconoscere il diritto di essere vestito male come voglio adesso mi trovo costretto da un mare di regole e norme a comportarmi in maniere che trovo assurde per non scandalizzare le persone del luogo.
Alla fine della riunione bisogna decidere i compiti per l'indomani. Mi chiedono se ho voglia di andare in un villaggio a un'ora di cammino dal nostro villaggio per fare da testimoni nel caso la polizia intervenisse presso dei palestinesi che vogliono costruire. Si sa che si deve partire presto ma non si sa quando si ritorna. Io mi preoccupo a stare sotto il sole diretto del deserto per troppe ore. Già la volta scorsa quando sono tornato nel primo pomeriggio dopo la mattina ad accompagnare pastori mi sentivo in ebollizione e la pelle delle mani, nonostante la crema protezione 50, cominciava ad essere arrossata col rischio di farmi stare male per i giorni successivi. Condivido questa mia preoccupazione perché non vorrei creare problemi il giorno dopo a chi è con me a svolgere il mio compito. Mi sembra che Fra sia preoccupato ma Miki insiste perché ci vada io invece di lui. Non so se lo fa perché vuole lasciarmi la possibilità di vivere l'esperienza (anche se non ambisco più di tanto di trovarmi nei casini) o perché non ha voglia di passarsi una giornata a cuocere. Alla fine rimaniamo d'accordo io e Fra: sveglia alle 6 e partenza alle 7.
La notte cambio di nuovo posto, mi metto in un punto un po' ventoso, fuori nello spiazzo con i tappi per le orecchie. Durante il giorno infatti non si sente un cane abbaiare ma durante la notte si scatena il finimondo. Ogni mezz'oretta i cani cominciano ad abbaiare e vanno avanti per parecchio rispondendosi con l'intermezzo saltuario degli asini che ragliano e l'accompagnamento mattutino dei galli e di uno stormo di passeracei che ha pensato bene di fare un condominio di nidi nella soletta della casa sopra la nostra. Alla fine dormo senza punture ma la mattina sono un po' rattrappito dal freddo.
Dopo le lunghe abluzioni mattutine partiamo. Quando arriviamo all'altro villaggio andiamo a cercare Id. Parla bene inglese, l'avevo incontrato all'azione lungo la strada e mi aveva parlato ma pensavo fosse di Ta'yush, l'organizzazione pacifista israeliana. Ci fa sedere e ci offre l'immancabile te. Ci racconta che ha chiesto il nostro intervento perché nel villaggio vogliono costruire undici latrine. Il villaggio è abitato da beduini ed è formato da recinti coperti da tende o da blocchi di cemento di due stanze. Ma non c'è il bagno e neppure la latrina. Per i loro bisogni si allontanano nel deserto. Ma ogni tanto è successo che qualche colono ha inseguito chi cercava di fare i suoi bisogni nella landa desolata. Così vogliono costruire delle latrine tra le case del villaggio ma sono senza autorizzazione. Il villaggio è stato letteralmente circondato da una colonia israeliana che ha le sue reti di recinzione che corrono a meno di 10 metri dalle case dei palestinesi, molto più vicina di quanto sia vicino il villaggio dove è la nostra casa alla colonia vicina.
Le undici latrine verranno costruite in due fasi. Prima i palestinesi faranno i buchi per terra e poi una associazione spagnola che paga anche i lavori di scavo manderà dei volontari che in una settimana costruiranno le latrine. Ma tutto questo senza autorizzazione. Per questo Id ci ha chiamato, vuole che restiamo con loro nel caso venga la polizia ad impedirgli di proseguire lo scavo. Noi dovremo solo fare i testimoni, cosa che probabilmente già servirà ad impedire l'arresto.
Fortunatamente i lavori sono in mezzo alle case per cui la paura del giorno prima era infondata. Non saremmo rimasti al sole per tutto il giorno, anzi poco dopo che ci siamo seduti all'ombra osservando un signore basso e corpulento che maneggia un martello pneumatico arriva il secondo te della giornata.
Dopo una mezz'ora arriva una macchina della polizia della colonia che da dentro si ferma ad osservare. Gli operai continuano a lavorare seminascosti da alcune coperte ma il rumore del compressore e del martello pneumatico è molto alto. A noi ci chiedono di rimanere seduti e defilati anche se subito mi ero messo a filmare in direzione della colonia facendo il vago per arrivare a filmare l'auto della polizia. La polizia poi se ne va lasciando in ansia tutti.
Ogni tanto, quando si avvicinava qualche mezzo sospetto io e Fra tiravamo fuori la videocamera. Sembravamo due pistoleri col le loro amate pistole. Anche Id ci scherza sopra. In effetti queste telecamere per questi palestinesi sono armi potenti, che li fanno sentire sicuri.
Il resto del giorno però passa in una condizione atarassica. Nello stupore di Id non si fa vedere più nessuno, né polizia né militari. Anche volessimo dare una mano ci viene chiesto di rimanere estranei ai lavori per poter essere meglio semplici testimoni. Noi stiamo sotto una tenda a parlare con qualcuno dei figli della famiglia a cui stanno costruendo la latrina (non ne mancano perché sono 8 figlie e 11 figli) e ogni tanto ci portano un te. A pranzo ci offrono un piattone con un imbrogliata di pane arabo e verdure condite con molto olio e pecorino, molto gustoso.
A metà pomeriggio un piccolo momento di tensione perché una jeep e due humvee (grossi jeepponi militare larghi larghi) che in mattinata erano passati senza fermarsi al ritorno si fermano vicino al villaggio e i militari scendono. I palestinesi sono un po' preoccupati anche se ci dicono che per loro è una cosa abituale vedere questi veicoli fermarsi al villaggio vista la loro vicinanza alla colonia. Anche la pattuglia militare però poco dopo riparte senza disturbare il lavoro di scavo che avanza.
Intanto che siamo lì una delle bambine di quattro o cinque anni, una vera bambolina bisquit, si avvicina a me e comincia ad sfiorarmi la testa calva (che da queste parti è una vera rarità riservata solo alle persone molto anziane). Io mi metto a scherzare con lei ed arriviamo quasi a sfiorarci il naso. A quel punto però uno dei suoi fratelli di uno o due anni più grande di lei comincia a sgridarla e a darle anche dei colpi. Io cerco di dirgli di non farlo. Quando poi la bimba si riavvicina a me nuovamente il fratello riparte alla carica per allontanarla. Di nuovo cerco di dirgli di lasciarla stare ma si sente investito di un compito superiore. E la bambina si allontana con un visino che era un enorme punto interrogativo. Non so se alla fine si metterà il velo sperando di trovare un marito che la terrà in casa a lavorare e a fare figli o se invece lascerà la sua casa per emigrare in qualche altro paese in cui essere libera di relazionarsi con persone dell'altro sesso senza essere redarguita, ma sicuramente non stava capendo cosa c'era di male nella sua voglia di affetto e di comunicazione.
A tardo pomeriggio, quando il buco della prima latrina è completato e i beduini si stavano apprestando ad attaccare il secondo noi dobbiamo partire. Ci chiedono di tornare il giorno dopo e magari anche di dormire lì in modo da poter avere qualcuno anche se continuano a scavare la sera. Si vede che ci tengono molto alla presenza internazionale.
Lungo la strada Fra rimane un po' indietro e alla fine, quando gli dico che abbiamo messo 50 minuti mi dice “Un record di velocità. Meno male che avevi paura di non farcela”. In fondo un beduino si era stupito quando gli ho detto che avevo 51 anni dicendomi che me ne aveva dati al massimo 30, bontà sua, anche se in effetti i trentenni di qui sembra che abbiano 50 anni. La vita da queste parti ti consuma presto.

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Per mettersi in mezzo. (6)


20/7/09
Oggi tutto tranquillo. La notte sono stato assalito da insetti mordaci (non penso siano zanzare perché con l'assenza di acqua che c'è sarebbe assurdo ci fossero zanzare). Ho accompagnato i bambini al “gate”, il cancello dell'insediamento dalla parte del villaggio dove i militari riconsegnano i bambini la mattina La stanchezza ammutolisce tutti, si sta lunghi minuti nel silenzio. Oggi i militari hanno fatto tutti il percorso a piedi, lasciando la jeep da qualche parte. Di solito uno o due scendono ma gli altri fanno tutto il percorso in jeep. Sono ragazzini, vent'anni o poco più, anche il loro capo ne avrà al massimo venticinque. Facce pulite e mitra imbracciato davanti.
Mi metto a fare da mangiare per chi ritorna. Me la sono cavata anche senza molta acqua. Risotto con peperoni cipolle menta e cannella. Ci sono anche due ospiti, una italiana e un inglese che stanno facendo una ricerca per una università britannica. Gli spiegherò che non è cucina italiana, mi assumo pienamente la responsabilità.
All'ora di pranzo però c'è un po' di emergenza. Sono arrivati dei mezzi militari e dell'autorità civile per fare foto e controllare alcuni edifici che gli abitanti del villaggio stanno costruendo. Hanno deciso di costruire delle case che sanno verranno distrutte perché senza autorizzazione. In teoria sono case per gli attrezzi o per ospitarli quando vanno a lavorare nei campi. Come fanno i coloni che continuano a costruire strutture temporanee che poi a poco a poco si trasformano in edifici permanenti anche loro si sono messi ad aumentare la dimensione dei loro insediamenti. In pratica bisogna vedere se riusciranno mai ad usarle.
In effetti ne avrebbero anche un buon motivo. Ieri a Tuba ho provato a chiedere quanti figli avessero. Hibraim ha sette figli e quattro figlie (un po' preoccupate perché non hanno ancora trovato marito) mentre Omar, che ha solo 42 anni, ha 6 figli e 4 figlie e vive nella grotta costruita dal padre. Ovviamente qualcuno è già andato via a lavorare, ma gli altri sono ancora a casa a fare tutti i lavori necessari e un posto dove dormire gli servirà bene. La prima volta che sono arrivato al villaggio mi sembrava un non luogo, un po' di muri a secco e qualche strada, non riconoscevo la struttura antropica più di tanto, ma una volta tornato da Tuba, fatto di tende e grotte, quando ho visto il villaggio mi sembrava quasi una metropoli.
Al controllo della case si è aggiunto poi un check point volante all'ingresso del villaggio. Eleonora e Ilaria sono andate a vedere.
Alla fine gli abitanti del villaggio sono andati dagli edifici in costruzione. La polizia ha consegnato un documento che proibisce di continuare a lavorare. E' la premessa dell'ordine di demolizione. Nella protesta alla fine la polizia ferma Nasser e lo porta a Hebron. Dovrà pagare una cauzione per uscire.
Di tutto questo però me ne parlano gli altri perché io sono dovuto restare dalla casa a presidiarlla in caso di altre emergenze. La sera, dopo una giornata intera dalla casa, vado a fare un giro sulla collina alle spalle del villaggio. La brezza è dolce, il tramonto delicato, il panorama folle: un villaggio di pastori e contadini uscito dalla preistoria con lo sfondo una specie di villaggio turistico di casette allineate. E il resto è deserto.


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Per mettersi in mezzo. (5)

19/7/09
Stamattina sveglia alle 5. Un dramma. Dobbiamo andare io e Ale a Tuba per accompagnare i bambini che vanno alla summer school. Li prendiamo al villaggio e andiamo con loro, uno in cima e uno in fondo, fino ad un angolo da cui vediamo i militari che la Knesset, il parlamento israeliano, ha decretato li debbano accompagnare fino alle porte del villaggio. Il motivo è semplice. Nel tratto di strada che porta da Tuba al villaggio i coloni della colonia israeliana vicina spesso li assalivano con bastoni e catene. Per un certo periodo i volontari internazionali li hanno accompagnati ma dopo una volta che i coloni fecero parecchio male a volontari e bambini la Knesset ha stabilito che sarebbero stati i militari israeliani ad accompagnarli. I coloni in questo periodo hanno attaccato anche i militari, ma con un po' più di discrezione.
Siamo arrivati a Tuba e alle 6:10 c'erano già parecchi bambini, qualcuno proveniente da un accampamento lontano qualche chilometro in più. Tre cammelli se ne stanno comodamente assisi nei campi. I bambini sembrano usciti dalla lavanderia, tutti con le loro magliette e pantaloni puliti, le bimbe più grandi con il velo e qualche maglietta in più per evitare il pericolo che un pezzettino di pelle possa spuntare. E invece vengono tutti da accampamenti di tende o da grotte scavate nella roccia calcarea. Mio figlio, nonostante l'acqua corrente e la lavatrice è spesso più sporco.
Ad un certo punto vediamo passare la jeep dei militari e ci avviamo verso il punto dello scambio. I militati per paura di essere aggrediti lontani dal loro mezzo in un tratto che può essere fatto solo a piedi evitano di arrivare al punto che ha stabilito la Knesset. Anche noi ci fermiamo in un punto da cui si vedono i militari per non oltrepassare il percorso sotto giurisdizione dei militari perché i coloni la considererebbero una provocazione e così i bambini devono fare un centinaio di metri da soli a rischio delle aggressioni dei coloni sotto il nostro sguardo che, per quanto vigile, è solo uno sguardo. Arrivati dai militari i bambini vanno fino al cancello vicino al villaggio dove ci saranno altri volontari ad accoglierli. E questo ogni mattina che c'è scuola o c'è il summer camp. E all'ora di pranzo dovremo fare il contrario. Finito l'impegno con i bambini passiamo all'accompagnamento dei pastori. Sono le 7 e mezza e la giornata è già cominciata da un po'. I pastori sono già partiti da un pezzo, prima che faccia troppo caldo. Bisogna andare a cercarli tra le colline. Nel posto solito non ci sono, continuiamo a girare per le colline finché ad un certo punto sentiamo un belato. Mi avvicino e vedo il pastore che si sbraccia. Devo rispondere subito con un ampio saluto per rassicurarlo che non sono un colono ma un amico. Quando li raggiungiamo troviamo i due pastori, uno giovane e un anziano che di solito non porta mai le bestie al pascolo. Il giovane parla inglese e riesco a parlare un po' con lui. L'anziano ha la stessa voglia di parlarmi e non desiste a chiedermi le cose anche dopo che gli dico “Ana ma teke arabi”. Come io non so l'arabo lui sa solo quello ma cerca in ogni modo di parlarmi. Purtroppo alla mia età non riuscirò più ad impararlo ma in questi giorni mi viene una voglia matta di farlo. Le lingue bisogna impararle da giovani, quante più possibili.
Giriamo per qualche ora tra le colline. E così capisco la storia di Davide e Golia. Da queste parti dove i cani sono animali impuri, per guidare le greggi si prendono pietre da terra che mai ne mancano e si tirano vicino alla bestie per distrarle dal continuare a mangiare le piante. I bambini pastori sono dei veri campioni di lancio della pietra, che sia per gestire gli animali o per centrare gli humvee dell'esercito israeliano.
Le pecore e le capre si mangiano questi cardi e cespugli pieni di spine come se fosse lattughina tenera. Le fibre non gli mancano. Tornati a casa berranno l'acqua che i pastori tirano dalla cisterna con meno parsimonia che per sé.
Ma prima di tornare a casa, sulla via del ritorno, mi attardo un po' e scendendo un costone per attraversare un huadi, secco come sempre, sento un rumore di pietre dietro di me.
Mi volto e vedo due persone correre a salti incontro a me. Quando vedono che mi sono voltato si mettono a urlare sbracciandosi come fosse un gioco notturno di paura. Ma sono le 11 del mattino e il sole spacca le pietre a 35 gradi all'ombra e nei giochi notturni non c'è qualcuno che tira pietroni da mezzo chilo in direzione degli avversari..
Urlo ad Ale “Arrivano”. Lei sulle prime pensa sia uno dei miei scherzi e gli viene in mente il pizzaiolo di casa sua quando avverte per le pizze in ritardo. Ma non sono due pizze, sono due coloni che vogliono minacciare i pastori palestinesi. Pochi secondi per decidere cosa fare. Ale mi urla “Scappa!” ma io osservo che non hanno né armi né bastoni in mano. Decido di fermarmi per proteggere la fuga di Ale e dei pastori. Quando mi arriva vicino il primo chi chiedo “What's the problem?” con la mani basse aperte in avanti. Arriva urlando e quando il suo viso è a non più di venti centimetri dal mio si ferma. Lo guardo negli occhi, dei bellissimi occhi celesti bordati di blu. Ha un fazzoletto come i black block ma bianco che gli copre il volto e lascia intravedere quel suo punto così debole che gli impedisce di ignorare la mia umanità. Avrà tra i 15 e i 18 anni, un po' come i miei studenti, un po' cazzone e un po' sbruffone come loro, alla ricerca di se stesso. Rimane muto mentre l'altro, un po' attardato urla ancora un po' e poi si zittisce anche lui. Anche l'altro ha il volto coperto ma di nero, proprio come i black block di G8ttiana memoria. Il “bianco” mi fa segno di andare via, quasi un invito, un consiglio, in ebraico e con le mani. Io mi volto e senza correre mi avvio continuando la mia strada. Non so cosa stanno facendo, non so se stanno raccogliendo delle pietre per lanciarmele nella schiena o se invece se ne stanno andando via ma non mi volto, non voglio fargli credere che per il loro intervento ho smesso di fare quello che facevo e spero che il “sia fatta la tua volontà” che ho pregato per santificare la festa corrisponda alla mia volontà.
I pastori e Ale sono scappati avanti con il gregge, poi lei e il pastore giovane si sono messi a riprendere la scena da lontano. Quando li raggiungo mi chiedono come sto. Tutto bene, e continuiamo a camminare fino a Tuba. Il pastore giovane guarda Ale e ricordando per la prima volta il mio nome le dice in arabo “Carlo è forte”. 1000 punti da parte.
Dobbiamo aspettare che i bambini ritornino dal summer camp così per non cuocere al sole la figlia del pastore anziano, occhi chiari e sorriso bellissimo, ci invita sotto una tettoia di tela che fa da soggiorno e da camera da letto. Il padre viene dopo un po' e lei le sistema un piccolo materasso. Ale fa vedere il video dell'aggressione dei coloni a tutti e poco dopo ci offrono una aranciata fatta con l'acqua del pozzo e dello sciroppo. Forse sto rischiano più di prima coi coloni ma la bevo tutta. Ale tituba ma quando arrivano col te alla salvia la invitano a bere prima l'aranciata, non può rifiutarsi. Prima di andare verso l'appuntamento con i bambini passiamo dalla famiglia del pastore giovane. Col figlio che parla inglese è più facile chiacchierare. Vivono in una grotta scavata in 40 giorni dal nonno nel 1967, poco prima della guerra. Venivano da un'altra parte della Palestina e hanno avuto la sfortuna di finire dove qualche anno dopo avrebbero costruito la colonia. Ci offrono uno spuntino, pane, pomodori, cetrioli sottaceto e un formaggio secco che a vederlo sembra gesso da ginnasti. Ale suppone che per loro non abbiano molto di più da mangiare e mi limito a pizzicare qualcosa per non offenderli ma loro insistono. Mi spiegano che vendono il formaggio a 10 euro al chilo e me ne offrono un pezzettino da portare via.
Alla fine decidiamo di andare verso l'appuntamento dei bambini. Aspettiamo che ci diano il segnale che i militari sono arrivati a prelevarli prima di avvicinarci. Al quarto richiamo finalmente i militari arrivano. Noi gli andiamo incontro e scopriamo che a fianco del percorso c'è un colono che cura le viti. Questa volta ha altro da fare e i bambini corrono veloci verso casa. Finalmente alle 13 siamo sulla via di casa cotti dal sole.
La sera prima di cena Fra e Miki che stavano andando a Tuba per dormire nella grotta dei pastori che hanno paura di attacchi notturni incontrano i coloni che li inseguono. Loro fuggono nella valle e ci chiamano per farsi dare un aiuto. Io e Ele corriamo in cima alla collina per dargli indicazioni sulla posizione dei coloni. Loro incontrano un pastore sull'asino che si è allontanato dalla strada quando ha visto il pickup dei coloni. Alla fine continuano alla volta di Tuba e noi torniamo al villaggio. Lungo la strada un contadino sul trattore ci invita a tornare con lui e, arrivati, un bambino scalzo ci offre un biscotto per uno. Alla sera siamo invitati a cena a casa del punto di riferimento del villaggio per la azioni nonviolente. Penso che stanotte dormirò.

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Per mettersi in mezzo. (4)

18/7/09
Al risveglio ti rendi conto di quanto possa essere complicato fare le cose più semplici come lavarsi se le attrezzature non sono adeguate. Nella nostra casa manca l'acqua corrente come in tutte le case del villaggio e ti devi arrangiare con i bidoni, ma la carta igienica sporca la devi buttare in un sacchetto per non ostruire lo scarico. Dopo quasi un'ora di abluzioni alla fine mi sento ancora non molto pulito.
Per oggi gli abitanti del villaggio hanno deciso di fare una manifestazione all'ingresso della colonia. Mi dicono che alcuni giorni fa una casa palestinese in costruzione è stata danneggiata e loro suppongono siano stati i coloni. Noi li accompagneremo. Quando si è scoperto Francesco e Michele che erano appena tornati a Gerusalemme avrebbero avuto voglia di tornare per partecipare all'azione. Io invece pensavo che iniziare con una manifestazione presso la colonia non era proprio il miglior battesimo. Ma sono andato fiducioso.
Alla fine ho visto tutti: palestinesi, soldati, polizia e pacifisti israeliani. Solo i coloni hanno fatto i timidi e non si sono presentati eccetto che il loro capo della sicurezza.
I palestinesi hanno messo dei cartelli in cui chiedevano il diritto dei loro diritti umani e delle pietre ad ostruire il passaggio dei mezzi dei coloni nelle loro terre, perché, come ho scoperto dopo, nei giorni passati avevano tracciato una pista nei loro campi, presumibilmente con l'intenzione di andare ad insediarvisi. Polizia ed esercito sono rimasti a controllare e quando il capo della polizia ha assicurato che il giorno dopo avrebbe preso in esame nel suo ufficio le lamentele dei palestinesi la manifestazione si è sciolta. A prima vista sembrerebbe una vittoria di Pirro, ma in questo contesto perfino una azione simbolica di questo tipo diventa sostanziale. Ale e Fabio erano stupiti che tutto si fosse svolto così serenamente, senza pestaggi di palestinesi o arresti di pacifisti israeliani, l'hanno considerata una grande conquista del movimento nonviolento dei villaggi a est della “bypass road”, questa strada su cui possono passare solo le auto israeliane, che in 45 minuti collega a Gerusalemme contro le 2 ore necessarie per fare lo stesso tragitto lungo le strade dei territori palestinesi.
Alla fine dell'azione siamo tornati alla casa è lì l'animatore delle azioni nonviolente ha tenuto una piccola riunione per spiegare ai neofiti degli internazionali e dei pacifisti israeliani che tutti i prossimi sabati verranno organizzate delle azioni dai villaggi che nei mesi scorsi hanno fatto formazione sull'azione nonviolenta, tutti, nonne e bambini. E a tutti è stato offerto te con il timo.
Nel pomeriggio è venuto in visita lo sceicco di una cittadina vicina. Nulla di esotico, ha cinque mogli ma insegna religione nella scuola pubblica. Probabilmente era venuto per dirci come ci si deve comportare perché ha esordito spiegando che solo chi segue i comandamenti di Allah andrà in paradiso e gli altri invece andranno nel fuoco, che se in Palestina ci sonno dei problemi è perché né ebrei né cristiani né molti mussulmani seguono i comandamenti di Allah Quando gli ho fatto notare che i coloni israeliani, anche se probabilmente non dicono la verità, sono convinti di seguire i comandamenti di Dio è rimasto un po' spiazzato. Gli ho spiegato che mi piacerebbe vedere una moschea ma che non essendo mussulmano non potevo entrarci. Mi ha detto che basta leggere le scritture per diventare mussulmano e quando gli ho detto che sapevo che il Corano può essere scritto solo in arabo mi ha detto che il corano è tradotto in tutte le lingue e che se trova il CD col Corano in italiano me lo regala. Alla fine non ci ha sgridato per i nostri comportamenti ma si è messo a spiegare a Fabio che il libro di arabo che sta usando non va bene perché ci sono frasi tradotte non in arabo corretto ma in arabo “della strada”. E quando se n'è andato mentre agli altri ha stretto la mano a me ha battuto il cinque.

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Per mettersi in mezzo. (3)

17/7/09
A pranzo gnocchi. Dato che oggi siamo tutti insieme a Gerusalemme e la cosa è abbastanza rara propongo di fare gli gnocchi per tutti. Sono venuti buoni ma proprio pochi. Peccato.
Nel pomeriggio siamo partiti per il villaggio. Lungo la strada incontriamo il muro della vergogna. Chilometri e chilometri di muro più o meno alto, più o meno spesso, che separa la terra dalla terra. Dovrebbe salvare gli israeliani dagli attacchi terroristici dei palestinesi ma come molti muri di questo tipo non impedisce di essere attraversato ma rende la vita invivibile a chi ci vive attorno.
Al cambio di bus ci caricano nel bagagliaio perché non c'è abbastanza posto nei sedili. Viaggiando con questi mezzi ci si rende conto della diversa percezione del pericolo e dell'importanza della propria vita. Sembrava di viaggiare con un ventenne un po' alticcio eppure era un trentenne del tutto sobrio ma la sua percezione del rischio era decisamente diversa dalla mia e guardando le facce dei passeggeri palestinesi veniva da concludere che fosse condivisa la stessa percezione. Come a dire che per noi la vita è qualcosa da salvaguardare molto di più, almeno la propria. Per loro forse è qualcosa che può essere rischiata più facilmente.
La sera al villaggio piccolo giro attorno alle case. L'aria è dolce e la brezza delicata. Le case tirate su alla come viene stonano in questa natura. Verrebbe voglia di andare a camminare nel crepuscolo e nel silenzio ma non si può. Bisogna tornare, al buio non si può andare in giro perché ci sarebbe allarme generale e tutti uscirebbero a vedere chi è che si aggira al buio. Eppure sarebbe così bello potere stare alla luce delle stelle nel silenzio di questi terreni sassosi.
Tornati alle case raccolgo bottiglie e sacchetti sparpagliati attorno alla strada. Mi dispiace vedere questa spazzatura sparpagliata ovunque. Ne raccolgo un sacco bello grosso e lo lascio al punto di raccolta. Domani verrà bruciato.
Dopo cena viene organizzata una scuola di debka per i ragazzini del villaggio. Ma le ragazze no. Una bambina si trattiene a stento seguendo il ritmo della musica. Ha una voglia pazza di lanciarsi ma non potrà, è femmina. La danza è solo per i maschi.

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Per mettersi in mezzo. (2)

16/7/09
Ieri sera siamo andati in centro. Faceva un po' effetto aspettare il nostro kebab (che qui si chiama shawarma) a fianco di quattro baldi giovani che imbracciavano una mitraglietta. Forse coloni o più semplicemente soldati in licenza che hanno l'obbligo di avere sempre con se la loro arma a scanso di furti o più probabilmente per dare un senso che l'esercito è sempre pronto anche se i nemici attaccheranno di sorpresa come nella guerra del Kippur. Sembravano tranquilli anche se un po' impacciati nel mangiare il loro panino districandosi tra tracolla e canna ma mi domandavo se tutti si erano ricordati di mettere la sicura.
Siamo ritornati abbastanza tardi. Ale e Fabio erano cotti e si addormentavano sul bus a rischio di farci saltare la fermata giusta essendo gli unici a conoscerla. Ieri sono arrivati tardi alla casa perché avevano saputo all'ultimo che oggi ci sarà una ispezione della Unione Europea. Il progetto è in parte finanziato dalla UE e ogni tanto ci sono dei controlli. Così ieri si sono dati da fare per risistemare un po' di cose e di conti.
Oggi invece ci siamo concessi un giro esplorativo per cominciare a capire un po' meglio questa realtà. Prima un giro per il suq e poi, dopo aver mangiato una varietà di felafel e salsette di ceci, un giro per i tre luoghi sacri: Spianata delle Moschee, Muro del Pianto e Basilica del Sacro Sepolcro.
La prima riflessione è che in questo luogo l'attaccamento al proprio credo fa comportare in maniere aggressive.

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Per mettersi in mezzo. (1)

15/7/2009
Arrivare a Gerusalemme è facile, un'oretta dall'aereoporto di Tel Aviv con un nesher, un taxi collettivo con aria condizionata. Sembra di essere in un posto normale, se non fosse che in un parco che probabilmente ricorda il luogo dii una battaglia ci sono a fare da monumento delle carcasse di mezzi militari e i giochi per i bambini sono fatti a forma di jeep da cui sparare sui nemici.
A dire la verità ogni volta che vedevo un bus mi venivano in mente le foto dei bus fatti esplodere dai “martiri” palestinesi mietendo la loro vita assieme a quella di tante persone più o meno ignare e più o meno innocenti. Adesso stanno costruendo una tramvia nuova, forse pensano sia più controllabile.
Di cantieri non ne mancano, è tutto un gran costruire case per i nuovi arrivati dai paesi più diversi. Perché in effetti gli israeliani non esistono come popolo, sono un mix di popoli di tutto il mondo e l'unica cosa che li amalgama, come un tempo i siciliani con i veneti, è il servizio militare.
All'aeroporto, al controllo dei passaporti, hanno cominciato a farmi domande. Lo fanno sempre, soprattutto per chi si presenta da solo. La poliziotta non si è accontentata di quello che le dicevo, di dove avevo intenzione di andare, e così ha trattenuto il mio passaporto. Nel frattempo sono passate altre persone con la fondata motivazione che erano “del gruppo di don Mario” (detto in italiano alla poliziotta che non lo capiva). E' venuto un altro poliziotto per accompagnarmi in una saletta. C'erano altri “selezionati” come me ad aspettare. Dopo poco però, senza che mi chiedessero alcunché, mi hanno accompagnato al posto di polizia e mi hanno restituito il passaporto timbrato. Si vede che una persona che da sola va a Gerusalemme senza il volo di ritorno prenotato non risulta credibile alla prima... o forse avevano solo voglia di darmi un po' fastidio.
E così a sera posso solo dire una cosa su questo paese:che ho notato: le israeliane sono anche carine ma vestono in una maniera orrenda.

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13/07/09

Armi leggere

Se i nostri governi si interessassero del bene dei loro cittadini avrebbero un comportamento diametralmente opposto a quello che tengono, soprattutto per quanto riguarda le armi e gli armamenti.

Alle minacce alla vita dei loro cittadini non rispondono in relazione alla pericolosita' ma a criteri molto piu' perversi che mischiano interessi personali e consociativi, fobie e pigrizie.
Non vorrei sembrare macabro con una contabilita' di morti ma penso che aiuti a riflettere.
I governi occidentali stanno restringendo perfino i diritti fondamentali con la scusa del terrorismo internazionale che per ora in Italia non ha fatto vittime e che, almeno finora e negli altri paesi europei, ha fatto qualche centinaio di morti.
Allo stesso tempo non fanno quasi niente, non limitano neppure la velocita' delle macchine che ha dimostrato poter ridurre notevolmente il numero di morti (e feriti) sulle strade che solo in Italia arrivano ad essere 6/7.000 all'anno.
Discorso analogo e' quello delle armi leggere che ogni anno procurano qualche centinaio di morti in Italia e proporzionalmente molto di piu' nei paesi in cui l'uso delle armi non e' regolementato. A partire dai cacciatori (o anche passanti) uccisi o feriti nelle battute di caccia, per arrivare ai banditi (e passanti) colpiti da armi "regolermente detenute", e finire con coloro che, come si e' visto in varie occasioni, pensano di difendersi con pistole e fucili e quello che alla fine ottengono e' solo di morire, uccidere e spargere dolore ovunque.

Forse anche le armi della polizia sono di troppo (ai tempi in cui i bobbies di Londra giravano disarmati la delinquenza londinese era molto meno pericolosa) ma sicuramente proibire le vendita di armi leggere ridurrebbe drasticamente il numero complessivo di morti e feriti senza ridurre la sicurezza complessiva ma, al contrario, aumentandola. E se qualcuno si diverte tanto a sparare a qualcosa vorra' dire che sara' costretto a farsi passare la voglia dedicandosi ad altre attivita'.
Penso che sia una "costrizione" che val la pena di imporre per il bene di tutti, pur avendo l'attenzione di aiutare chi campa di armi a trovare un altro sistema per viviere, perche' anche se la Repubblica si basa sul lavoro deve essere un lavoro che non danneggi altri.
Per cui è un vero peccato il rultato del referendum brasiliano per l'eliminazione del commercio di armi. Una eventuale abolizione in Brasile avrebbe potuto convincere anche qualcuno che puo' in Italia a cominciare a pensare cosa far fare d'altro agli armaioli della Val Trompia, e come evitare il dolore che le armi in circolazione in Italia ogni anno provocano.

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