Nonviolenza
Quello che posso dire qui sulla nonviolenza è solo il mio punto di vista, quello che io penso, perché sul tema della nonviolenza ci sono molti punti di vista che possono anche risultare molto diversi tra loro su alcuni argomenti.
L’unica cosa che forse viene condivisa da coloro che parlano di nonviolenza è che nessuno può pensare di avere la verità in tasca. Questo significa che all’interno degli ambienti che si rifanno al concetto di nonviolenza ci sono le posizioni più diversificate, quello che si intende per nonviolenza è estremamente variegato, oggi ancora più che nel passato. Rispetto ad alcuni anni fa, c'è stato un cambiamento che da un lato è positivo e dall’altra è negativo: il termine nonviolenza è entrato nel linguaggio quotidiano, in politica è perfino diventato un termine rivendicato da più parti mentre soltanto dieci anni fa c’era un solo partito che timidamente utilizzava questo termine nei propri programmi. Ora come ora tutti quanti "sono" nonviolenti e questo implica che il termine si è esteso, ha aumentato i suoi significati, ma ha anche diminuito la sua definizione: come una coperta che viene tirata da tutte le parti il termine "nonviolenza", a seconda di chi lo tira, copre cose diverse e in maniere diverse.
Per questo motivo quello che scriverò sarà in quest’ottica: anche quando sembrerà che parli in termini assoluti starò solo scrivendo del mio modo di vedere la nonviolenza, che deriva dalle mie esperienze e dalle mie riflessioni.
La prima cosa che penso sia importante dire è che la nonviolenza non è soltanto pratica e non è soltanto teoria. Nella nonviolenza si cerca di superare le contrapposizioni, che spesso banalizzano la realtà. Per esempio, anche se sembra normale che in un conflitto si cerchi di vincere, se non si ha paura a uscire dagli schemi ci si rende conto che vincere implica la sconfitta dell'altro e la sconfitta dell'altro implica la continuazione del conflitto.
L’unica cosa che forse viene condivisa da coloro che parlano di nonviolenza è che nessuno può pensare di avere la verità in tasca. Questo significa che all’interno degli ambienti che si rifanno al concetto di nonviolenza ci sono le posizioni più diversificate, quello che si intende per nonviolenza è estremamente variegato, oggi ancora più che nel passato. Rispetto ad alcuni anni fa, c'è stato un cambiamento che da un lato è positivo e dall’altra è negativo: il termine nonviolenza è entrato nel linguaggio quotidiano, in politica è perfino diventato un termine rivendicato da più parti mentre soltanto dieci anni fa c’era un solo partito che timidamente utilizzava questo termine nei propri programmi. Ora come ora tutti quanti "sono" nonviolenti e questo implica che il termine si è esteso, ha aumentato i suoi significati, ma ha anche diminuito la sua definizione: come una coperta che viene tirata da tutte le parti il termine "nonviolenza", a seconda di chi lo tira, copre cose diverse e in maniere diverse.
Per questo motivo quello che scriverò sarà in quest’ottica: anche quando sembrerà che parli in termini assoluti starò solo scrivendo del mio modo di vedere la nonviolenza, che deriva dalle mie esperienze e dalle mie riflessioni.
La prima cosa che penso sia importante dire è che la nonviolenza non è soltanto pratica e non è soltanto teoria. Nella nonviolenza si cerca di superare le contrapposizioni, che spesso banalizzano la realtà. Per esempio, anche se sembra normale che in un conflitto si cerchi di vincere, se non si ha paura a uscire dagli schemi ci si rende conto che vincere implica la sconfitta dell'altro e la sconfitta dell'altro implica la continuazione del conflitto.
La teoria non è indipendente dalla pratica, perché la teoria e la pratica spesso si rincorrono. Questo, per esempio, implica una cosa ben precisa: mentre per molti che si limitano ad una visione teorica la nonviolenza dovrebbe essere ciò che rifugge lo scontro perché è violento, se si cerca di mettere in pratica la teoria ci si rende conto che in molte situazioni si deve arrivare a scatenare lo scontro. Purtroppo anche in Italia ci sono molti che si definiscono nonviolenti solo perché non sono in grado di essere violenti e quindi giustificano la loro incapacità a reagire alla violenza definendola nonviolenza. Io non penso che la nonviolenza sia ciò che fanno quelli che non riescono ad essere violenti. In effetti la nonviolenza è di chi violento saprebbe e potrebbe esserlo benissimo ma sceglie di non esserlo. Se io so essere violento e scelgo di non esserlo è perché veramente so cosa sto scegliendo; se io non so essere violento non so neanche cosa sto scegliendo e spesso neppure capisco realmente la differenza tra violenza e nonviolenza.
Con una visione più disincantate della nonviolenza, con un approccio meno ideologico ma più scientifico, si può riconoscere nell’aggressività un qualcosa di estremamente positivo. Di solito quando una persona mostra un atteggiamento aggressivo, reattivo, lo si considera subito come violento e quindi il suo comportamento viene squalificato.
Con una visione più disincantate della nonviolenza, con un approccio meno ideologico ma più scientifico, si può riconoscere nell’aggressività un qualcosa di estremamente positivo. Di solito quando una persona mostra un atteggiamento aggressivo, reattivo, lo si considera subito come violento e quindi il suo comportamento viene squalificato.
Ma questo è un equivoco.
Essere aggressivi (dal latino "ad gredior": vado verso) significa affrontare il problema, significa, per esempio, reagire ad una sofferenza non solo individuale ma anche sociale, reagire all’ingiustizia. Quindi da questo punto di vista la nonviolenza è aggressione, o meglio, è una forma di aggressività che riesce ad utilizzare strumenti che cercano di evitare la sofferenza evitando per quanto possibile di far soffrire l’altro, in altre parole che non gli fanno violenza. L'aggressività è quella sana energia che permette alla specie umana di progredire reagendo alle difficoltà senza sprofondare nella depressione. Perfino il guizzo dell'antilope è una risposta aggressiva all'attacco della leonessa.
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