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Per rispondere all'esigenza di difesa del Paese da minacce umane volontarie ci possono essere vari modelli di difesa: se ne può dare un elenco, molto schematico, per facilitare la comprensione.
In questo elenco vengono considerati anche quei modelli che si definiscono di difesa ma che prevedono un'azione di attacco che precede l'attuazione della minaccia altrui. Sono quindi dei modelli di attacco che al massimo possono essere definiti di "difesa" tra virgolette.
- "Difesa" nucleare: le potenze nucleari ufficiali e gli altri paesi forniti di armi nucleari hanno difese di questo tipo. Almeno ufficialmente non è il caso dell'Italia, anche se, ospitando armi nucleari altrui, potrebbe rientrare ugualmente in questo modello[1].
- "Difesa" di attacco militare: è quella adottata dall'Italia, che è dotata di armi tipicamente d'attacco (come i Tornado o le portaerei) [2].
- Difesa militare: altri paesi (come l'Austria), la adottano. Sia la struttura interna dell'organizzazione, sia l'armamento adottato hanno una impostazione di tipo difensivo, non sono tese a portare il colpo all'esterno ma a contrastare un attacco proveniente dall'esterno[3].
- Difesa civile armata: come la guerriglia o in forme più organizzate (come in Svizzera o in Jugoslavia), dove viene integrata col precedente modello di difesa[4]. In questo contesto può anche rientrare il terrorismo internazionale che potrebbe essere assimilato ad una "difesa" di attacco civile e che spesso viene anche integrato nelle strategie di attacco militari ad opera dei servizi segreti militari.
- Difesa civile non armata e nonviolenta: si può distinguere tra quella realmente nonviolenta e quella semplicemente non armata. La modalità di attuazione è la medesima per entrambe, ciò che cambia è l'impostazione etica di chi vi partecipa. Non vi saranno quindi differenze notevoli riguardo alle scelte ma piuttosto riguardo alle motivazioni che da cui scaturiscono. Per questo motivo le si può unire in una unica categoria.
Alcuni di questi modelli possono integrarsi. Oltre all'integrazione di tipi diversi di difesa militare, si può prevedere un modello che integri la difesa armata con la difesa non armata. Ciò può creare notevoli problemi derivanti da contraddizioni di approccio che possono inficiare alcuni meccanismi di difesa di entrambe i modelli. Per esempio, la DCNAN riesce a ridurre il danno derivante dalla minaccia esterna non dando a chi minaccia la giustificazione, per fare violenza a chi si difende, delle violenze subite. Se però la DCNAN è affiancata o peggio integrata come un tutto unico con una difesa armata, succede che le conseguenze della azioni della difesa armata ricadono come violenze su chi attua la difesa non armata. Analogamente una difesa armata, per avere una maggiore efficacia deve ridurre al minimo gli "effetti collaterali" sulla propria popolazione ma ciò viene reso più difficile da una popolazione che invece di lasciare all'esercito il campo libero cerca di occupare il territorio secondo le tecniche dell'azione nonviolenta.
Il modo in cui una popolazione può difendersi è estremamente vario ed ha motivazioni di tipo sociale, politico, culturale ed economico differenti. Con una schematizzazione molto sintetica, si possono osservare le seguenti caratteristiche dei diversi modelli di difesa.
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Minaccia l'esistenza globale |
Aumenta l'insicurezza minacciando |
Non è democratica |
È destabilizzante, distrugge ed uccide |
Non basta a difendere da attacco nucleare |
Ha valore deterrente |
Non evita la sconfitta |
Riduce il danno economico e umano |
Ha valore stabilizzante interno |
Difesa nucleare |
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Difesa militare d'attacco |
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Difesa militare difensiva |
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Difesa civile armata |
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Difesa civile non armata e nonviolenta |
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Per quanto riguarda la difesa nucleare, di negativo c'è il fatto che minaccia l'esistenza globale, sia quella di chi è attaccato che quella di tutti gli altri, di chi attacca ma anche di chi potrebbe essere estraneo al conflitto. L'evoluzione tecnologica e strategica ha portato all'uso "tattico" di armi a base nucleare in cui gli effetti immediati e distruttivi vengono prolungati nel tempo da ricadute radioattive che rendono difficilmente controllabili le conseguenze del loro uso, siano essi gli "zaini atomici" o anche solo i proiettili ad uranio impoverito. L'uso di ordigni nucleari, anche quelli a minor impatto, ha quindi la contropartita di essere fondamentalmente incontrollabile. È un modello di difesa totalmente distruttivo, soprattutto nel caso di uso di armi nucleari di distruzione di massa, e l'unica giustificazione su cui si basa è la deterrenza. In quest'ultimo caso tutti sono coscienti che un volta utilizzato sarebbe distruttivo per chiunque, quindi, in fondo, non può essere classificato come un modello di "difesa" andando a distruggere anche coloro che stanno rispondendo ad una minaccia.
La difesa militare d'attacco evita la minaccia all'esistenza globale, anche se, portata all'estremo, potrebbe anche arrivare a tanto. In ogni caso rimane il fatto che minaccia l'avversario, di conseguenza ne aumenta l'insicurezza e quindi quella di tutto lo scenario e l'eccesso di paura e di insicurezza potrebbe anche portare a scatenare l'attacco da parte di chi si sente insicuro.
La difesa militare difensiva, anche se evita la minaccia, conserva la caratteristica di non essere sufficientemente democratica, essendo strettamente gerarchica e centralizzata e riservando il potere di difesa a pochi.
La difesa civile armata rispetto a quella precedente ha il vantaggio di poter essere democratica ma in ogni caso è destabilizzante. Infatti prevede l'esistenza di strutture di potere armate che costituiscono centri di potere molto forti che possono destabilizzare dall'interno il paese. Una altro motivo di destabilizzazione deriva dal fatto che richiede una diffusione capillare di armi che possono essere usate in situazioni di instabilità interna per scatenare la guerra civile, come è avvenuto in ex Jugoslavia[5]. Ciò può avere ricadute indirette anche su altri soggetti, come succede per le vittime di bombe realizzate con esplosivo proveniente da zone di conflitto armato diffuso come sono stati i Balcani. Inoltre distrugge ed uccide, quindi conserva tutti i problemi riguardo al fatto che non difende le ricchezze, la vita e il benessere. In questo contesto possono rientrare le forme di terrorismo più o meno controllato ed integrato in strutture militari al fine di destabilizzare chi attacca sia sul territorio attaccato che nei suoi territori. Per di più la minaccia terroristica induce una risposta simmetrica in chi viene attaccato creando strutture a loro volta sempre più destabilizzanti come i servizi segreti nascosti e le relative unità di azione.
Di tutti questi modelli di difesa la DCNAN conserva alcuni svantaggi: come tutti gli altri modelli di difesa non riesce a difendere direttamente da un attacco nucleare e non evita completamente il rischio di una la sconfitta pur riducendone sensibilmente i danni. Soprattutto la difesa nucleare, ma in generale tutti questi modelli, compresa la DCNAN, basano molto della loro forza sul loro potere deterrente, cioè la capacità di evitare che l'avversario attacchi perché non gli conviene o perché impaurito dalle conseguenze. Mentre per i modelli armati di solito è quest'ultimo il motivo principale, per la DCNAN tale deterrenza deriva dalla impossibilità di sfruttare la sconfitta da parte dell'avversario a causa della non collaborazione da parte dell'attaccato. Tale deterrenza riduce la propria forza soprattutto se ciò che interessa all'avversario è di impossessarsi di beni territoriali, materie prime o spazi, ma anche in questo caso la non collaborazione organizzata rende difficile e molto oneroso lo sfruttamento delle conquiste. Se, per esempio, in Iraq le forze di occupazione non potessero contare sul personale irakeno per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, ma fossero costrette ad usare personale proveniente dai propri paesi, l'interesse all'occupazione si ridurrebbe drasticamente diventando troppo onerosa o perfino impossibile. La DCNAN, però, ha alcuni vantaggi assenti negli altri modelli. Uno è che ha valore inibente: al momento in cui la minaccia si concretizza, nel caso la deterrenza fallisse, o comunque quando si attiva per superare una situazione conflittuale, tende a inibire lo scontro tendendo a ridurne il livello distruttivo, mentre gli altri modelli fanno scatenare all'estremo livello lo scontro. Ciò ha come effetto conseguente che la DCNAN riduce il dolore e la distruzione una volta che il conflitto esplode e che la minaccia si attua. Un altro fattore positivo è che ha un valore stabilizzante interno, nel senso che una volta che viene adottata come modello di difesa, la sua predisposizione ed attuazione, richiedendo un alto livello di compartecipazione e coinvolgimento, porta la società ad essere in uno stato sempre più stabile perché le forze interne tendono alla coesione invece che alla disgregazione. Questo in effetti può essere un fattore di freno per giungere alla sua adozione completa essendo deleteria per tutte le forze che possono approfittare dei fattori di instabilità derivati dagli altri modelli di difesa a proprio vantaggio.
Può essere utile tenere anche in considerazione il caso di stati che non hanno delle proprie forze armate. Ciò non significa che non abbiano un modello di difesa, ma che il loro modello di difesa spesso si basa su forze armate di altri Paesi (p.e. l'Islanda non ha proprie truppe ma ha concesso aree del proprio territorio per l'installazione di basi della Nato, analogamente il Costa Rica [6]).
Dato che un modello di difesa, perché possa concretamente realizzarsi, non può prescindere dalla realtà in cui va ad inserirsi, diventa importante riconoscere le strutture che già attualmente si prendono carico di alcuni aspetti della difesa.
In effetti è ciò che è avvenuto anche in passato con una continua trasformazione dei modelli ed un conseguente adattamento delle strutture esistenti [7].
Nel caso del modello di DCNAN, però, più che l'evoluzione di un dato modello, si tratterebbe di concepire ed attuare un nuovo modello che sviluppi e integri alcune delle strutture attualmente utilizzare in altri modelli in una sovrastruttura basata su criteri originali. Dover tenere conto di ciò che è attualmente esistente, quindi, implicherebbe un condizionamento limitato alla necessità di "riconvertire" le strutture che non troverebbero posto nella DCNAN, siano esse posti di lavoro o produzioni. Per il resto l'esistente sarebbe solo una risorsa a cui attingere per svolgere i compiti che si intende affidare al modello di difesa da integrare con le altre parti. La necessità di concepire e realizzare nuove strutture sarà limitata a ciò che non esiste ancora ma richiederà una quantità di risorse abbastanza limitata facilmente recuperabile dalla dismissione e nella riconversione delle strutture non più utilizzabili.
Vediamo brevemente alcuni degli enti che attualmente si prendono carico di aspetti della difesa della collettività. Molti altri enti potrebbero essere elencati in più dettaglio ma questo elenco ha soprattutto lo scopo di evidenziare i più significativi e di presentare diverse tipologie di modelli adottati in contesti diversi.
Evidentemente è uno degli enti attualmente coinvolti nel compito di difesa. Si interessa prevalentemente della difesa dalle minacce volontarie esterne portate al territorio e all'economia nazionali tramite una struttura militare di attacco composta da pochi elementi professionali. Negli ultimi anni però la modifica del modello di difesa ha portato all'impiego delle diverse Armi anche in operazioni fuori dai confini nazionali spesso in contesti multilaterali su mandato dell'ONU ma anche della Nato. Tali interventi hanno avuto come giustificazione sempre una ingerenza umanitaria anche se in diversi casi hanno evidenziato altre motivazioni testimoniate sia dall'adesione a patti fuori da specifici organismi sovranazionali sia dal tipo di azione intrapresa sul posto (p.e. l'intervento italiano in Iraq). L'intenzione di cambiare il nome del Ministero in "Ministero per la Pace" dimostra per altro che è sempre più evidente la necessità di cambiare le cose per superare una sempre più ampia caduta di consenso e di giustificazione all'esistenza di una Difesa Armata.
In alcune situazioni il Ministero della Difesa collabora nell'emergenza alla difesa da minacce naturali o involontarie entrando in rete con altri enti di Protezione Civile. Fa eccezione il Corpo dei Carabinieri che ha, oltre ai compiti di polizia militare, anche diversi compiti analoghi a quelli svolti dalle altre forze di Polizia.
Affiancati ai corpi militari sono presenti i Servizi di Sicurezza che, in un contesto di conflitti sempre più destrutturati e frammentati, assumono un ruolo sempre più forte. La loro tipologia si avvicina più a quella della difesa civile armata integrata in quella militare che a quella militare vera e propria, operando fuori dalla visibilità propria delle forze armate che, come si diceva, traggono la maggior parte della propria efficacia dalla deterrenza che richiede, ovviamente, una pubblicità totalmente antitetica a quella dei servizi segreti. Altra grossa differenza dalla difesa civile armata è che a tale tipo di difesa partecipano solo un ristretto numero di professionisti che, come la storia italiana ci narra, non si prendono molto cura della dialettica democratica. Tendenzialmente dovrebbero operare preventivamente proprio per evitare l'attuazione della minaccia, ma sempre più spesso, soprattutto all'estero, vengono impiegati durante i conflitti per svolgere le azioni che le forze armate regolari non possono svolgere per motivi diplomatici o semplicemente etici.
Se le forze militari regolari utilizzano dei centri operativi stabili come le caserme, i servizi segreti hanno ovviamente una struttura molto meno visibile e leggera.
Il modello di difesa nazionale non può ovviamente prescindere dal contesto internazionale di collaborazioni e alleanze. Al momento attuale, infatti, è necessario considerare almeno altri tre organismi internazionali all'interno del quale l'Italia si muove in situazioni di conflitto: l'Unione Europea, la NATO e l'ONU. Anche se si tratta di contesti internazionali, il Ministero della Difesa gestisce direttamente buona parte di tali relazioni, soprattutto con la NATO e in buona parte con l'Unione Europea.
E' evidente che un modello di difesa nazionale deve essere compatibile con quelli adottati dagli organismi a cui si collabora o più propriamente il contrario. Ciò significa che la scelta di un modello di difesa può implicare una revisione delle collaborazioni internazionali sul tema della difesa (e spesso a cascata anche su altri temi). Scegliere un modello di difesa per adeguarsi, anche solo per inerzia, a quelli adottati nei contesti internazionali a cui si collabora, però, implica una rinuncia alla propria sovranità che può abbondantemente superare la doverosa limitazione necessaria ad una proficua collaborazione [8].
La difesa della popolazione e più in generale del territorio nelle sue strutture economiche e produttive da minacce interne spesso non viene annoverata tra le funzioni di difesa ma di sicurezza limitando il termine difesa alla risposta alle minacce esterne. Nell'ottica vista finora di una integrazione delle funzioni di difesa, però, tale distinzione si evidenzia come del tutto infondata. La difesa da minacce interne è assegnata attualmente a diversi ministeri tramite le diverse forze di polizia. In Italia, a livello nazionale, le forze impegnate in questi compiti sono legate ai tre Ministeri dell'Interno (Polizia), dell'Economia (Guardia di Finanza) e della Difesa (Carabinieri). Questi organismi hanno ugualmente una struttura militare gerarchicamente ordinata (anche se la Polizia è stata demilitarizzata per quanto riguarda non tanto la struttura ma l'ordinamento giuridico).
Legato al Ministero degli Interni c'è poi il Corpo dei Vigili del Fuoco che per ora non è ancora completamente assimilabile al Dipartimento di Protezione Civile anche se ne è struttura portante. Per altro al momento attuale è in corso una militarizzazione del corpo dei Vigili del Fuoco, in maniera da integrarlo strutturalmente in un modello di difesa gerarchico, soprattutto per l'impiego in caso di attacchi terroristici.
I corpi prima citati vengono soprattutto attivati in fase di emergenza, quando la minaccia si compie, anche se le forze di polizia possono avere un notevole ruolo nella prevenzione delle minacce.
Non si può trascurare che anche i sistemi giudiziario e penitenziario rientrano nella struttura difensiva da minacce interne, anche se con notevoli differenze, soprattutto per quanto riguarda la non subordinazione o integrazione con le altre strutture di difesa, stabilita dalla separazione costituzionale dei poteri. Il sistema giudiziario sembra quindi più opportuno collocarlo come sovrastruttura o come struttura parallela rispetto alle altre strutture di difesa anche per il fatto che svolge il suo ruolo soprattutto nella fase di recupero successiva all'emergenza.
Le forze di polizia con il sistema giudiziario sarebbero anche incaricate della difesa dalla degenerazione e corruzione del sistema, pur non potendo valicare i limiti stabiliti dalla separazione dal potere politico.
Analogamente ai Servizi di Sicurezza militari, anche quelli civili dipendenti dal Ministero dell'Interno sono assimilabili al modello di difesa civile armato e come questi hanno però la caratteristica di essere strettamente professionali e intrinsecamente non democratici. Quest'ultimo è uno dei maggiori problemi legato all'utilizzo di un tale tipo di difesa: è difficilmente controllabile il suo operato e spesso non è così evidente che i vantaggi derivanti ad una democrazia dall'utilizzo di servizi segreti siano maggiori dei rischi che ad essa fanno correre.
Come i servizi segreti militari, il loro compito principale dovrebbe svolgersi in fase preventiva, ma hanno spesso un ruolo importante in fase di emergenza della minaccia per cercare di bloccarla (come nel caso dei sequestri di persona), sempre che non siano la causa stessa della minaccia.
Difficilmente il Sistema Sanitario Nazionale è percepito come sistema di difesa, probabilmente per il semplice fatto di non essere strutturato gerarchicamente ma più generalmente in maniera decentrata e almeno parzialmente partecipata. Eppure è evidentemente una struttura di difesa delle persone da minacce naturali (come le epidemie o in generale le malattie) o da minacce umane sia involontarie che volontarie (in caso di incidenti o attentati). Se per le minacce umane tale difesa è legata soprattutto al dopo emergenza, per le malattie il sistema si interessa, o si dovrebbe interessare, non solo della fase di emergenza ma anche della prevenzione e del recupero.
La struttura impiega dei professionisti e dei centri operativi stabili (come le strutture ospedaliere) ma in fase di emergenza vengono attivate le capacità di autodifesa delle persone e sicuramente non è da trascurare la difesa culturale costituita dall'educazione sanitaria scolastica che, nel rispetto di tradizioni e usanze, previene il diffondere di malattie.
Tale struttura ha già una forma inizialmente decentrata, integrando realtà molto diverse impostate su base regionale e sub-regionale. Partecipano alla struttura sia realtà a scopo di lucro che realtà di volontariato (come le Pubbliche Assistenze) in una relazione a rete in cui la struttura sanitaria fa da coordinamento e provvede all'integrazione.
Già nei sistemi di difesa militare attuali, per altro, sono integrate delle strutture sanitarie organizzate in maniera rigorosamente gerarchica concepite quasi esclusivamente per la difesa dei combattenti. In Italia tale compito è svolto dalla Croce Rossa. Il fatto che venga mantenuta tale duplicazione non deve stupire perché testimonia la difficoltà a integrare strutture gerarchiche e strutture partecipate come sarebbe il caso si tentasse di integrare la Difesa Militare e la DCNAN.
In alcuni paesi il sistema di Protezione Civile ha una struttura simile agli eserciti di leva che prevede, oltre al personale fisso per il coordinamento, del personale solitamente volontario che, dopo un periodo di addestramento e delle occasioni di esercitazione saltuarie, viene mobilitato al momento dell'emergenza (p.e. Guardia Costiera nel Regno Unito). In altri invece il tipo di intervento è demandato totalmente ad una struttura professionale apposita (p.e. la Guardia Nazionale negli USA) che però tracolla facilmente se l'emergenza è troppo vasta per essere gestita senza la collaborazione della popolazione.
Il Dipartimento per la Protezione Civile adotta ancora un altro modello [9]: infatti non ha personale specifico per affrontare l'emergenza ma si prende cura di organizzare la mobilitazione di volontari e corpi specializzati fornendo parzialmente attrezzature e materiale. Con una metafora militare potrebbe essere definito un esercito di generali che in caso di guerra inquadrano truppe autonome mobilitate all'occasione su base semi-volontaria. In effetti, però, tra i modelli organizzativi presenti nelle diverse strutture di difesa, quello della Protezione Civile approssima meglio una struttura adeguata alla DCNAN nel suo complesso.
Questo modello di difesa si basa sul concetto che le minacce sono saltuarie e distribuite casualmente sul territorio, pur essendo molto meno casuali delle minacce umane esterne.
L'attenzione della Protezione Civile è fondamentalmente per le minacce involontarie e naturali, si interessa parzialmente della fase preventiva soprattutto nel censimento delle risorse disponibili e dei pericoli sul territorio, e principalmente della fase dell'emergenza e del recupero. Il soggetto che intende difendere sono sia le persone che il territorio nelle sue accezioni più materiali, come edifici, anche produttivi, e infrastrutture.
Da un certo punto di vista questo ministero dovrebbe essere uno tra i più coinvolti nell'affrontare minacce volontarie esterne tramite le vie diplomatiche. Purtroppo il suo coinvolgimento è sempre limitato alla fase di prevenzione ma raramente riesce a farsi valere nella fase di emergenza. Ciò avviene solo con un limitato appoggio ad organizzazioni volontarie che intervengono autonomamente nelle zone di conflitto. Il tipo di intervento è generalmente di mediazione ma si può integrare con minacce armate mentre ben raramente si sviluppa con azioni dirette nonviolente. Il numero di persone addette è molto limitato ma utilizza realtà esterne tramite il finanziamento di interventi specifici.
Tra le competenze del Ministero degli Affari Esteri, inoltre, ci sono anche le relazioni con organismi sovranazionali (p.e. l'Unione Europea e ancor più le Nazioni Unite). Se viene loro riconosciuto un ruolo di mediazione degli interessi confliggenti dei diversi Stati potrebbero diventare determinanti nei modelli di difesa adottati da essi. In questo contesto l'apporto del Ministero sui temi della difesa dalle minacce potrebbe essere notevole, indirizzando non solo l'azione dell'Italia ma anche dei Paesi Esteri verso modelli più efficaci.
Altra competenza, in parte condivisa con altri Ministeri economici, è la partecipazione a Trattati economici e commerciali (p.e. WTO e Banca Mondiale). Tali organismi potrebbero essere ugualmente determinanti per superare i conflitti ma attualmente la loro funzione sembra che sia più latrice di conflitti che volta al loro superamento.
Gli Enti Locali hanno diversi settori le cui attività ricadono nell'ambito della difesa. Un primo esempio più evidente sono le Polizie Locali che hanno anche compiti di intervento per la risoluzione di conflitti. In tal caso la modalità di intervento è a volte di tipo armato, anche se non propriamente militare, principalmente in fase preventiva ma anche in caso di emergenza, con personale stabile in numero limitato, per la difesa di persone e del territorio. Spesso però l'intervento delle Polizie Locali non si basa sull'uso delle armi ma su metodi di mediazione che tendono a ricomporre il conflitto. A tal fine in alcune realtà è stata concepita una formazione specifica delle forze di Polizia ai metodi nonviolenti di superamento dei conflitti.
Gli Enti Locali hanno anche un ruolo importante nella difesa da minacce più generalmente ambientali e alla salute. Non a caso ai sindaci viene riconosciuta una fondamentale autorità sanitaria.
Gli Enti Regionali hanno anche altri compiti nell'ambito della difesa sanitaria e ambientale, integrandosi, come detto, nel Sistema Sanitario Nazionale o tramite le Agenzie Regionali per l'Ambiente.
L'intervento degli Enti locali spazia sui diversi momenti a seconda della tipologia di minaccia da affrontare. Ovviamente hanno un ruolo determinante nella prevenzione tramite una oculata gestione del territorio, ma possono essere attivati con proprio personale ad affrontare le minacce, come nel caso di eventi calamitosi, eventualmente supportando e integrandosi con strutture nazionali come la Protezione Civile.
Pur facendo riferimento al Ministero dell'Ambiente e alle Regioni di appartenenza, le Agenzie Regionali Per l'Ambiente sono realtà completamente autonome. Più che una rete di Enti sono una costellazione di enti autonomi che hanno interazione solo per alcuni aspetti legati alle caratteristiche del territorio. Collaborano quasi esclusivamente in contesti come i bacini fluviali che coinvolgono più regioni. Il personale è limitatissimo e l'azione è solo preventiva e di controllo. Si interessano esclusivamente della difesa del territorio da un punto di vista ambientale e le minacce di cui si prendono cura sono quasi esclusivamente minacce umane involontarie legate alle sorgenti di inquinamento. Il tipo di intervento si limita alla sanzione, lasciando in carico ad altri la gestione dell'emergenza e del recupero.
Alcune associazioni sono decisamente riconoscibili come coinvolte nella difesa da diversi tipi di minacce (dalla Pubbliche Assistenze ai corpi Volontari di Pompieri, alle Associazioni per la Protezione Civile).
Molte altre Associazioni ed Organizzazioni si dedicano alla difesa in modalità diverse ma molte volte non riconosciute. Un esempio molto significativo sono le ONG che effettuano interventi di supporto e interposizione in conflitti all'estero (p.e. i Corpi Civili di Pace o Peace Brigades International). La loro struttura è decisamente autonoma ma in diversi casi gli interventi avvengono col supporto economico e, in parte, diplomatico del Ministero degli Affari Esteri.
In alcune occasioni si sono coordinate autonomamente per interventi congiunti come, per esempio, per le iniziative di interposizione che hanno fermato per alcuni giorni le ostilità durante la guerra balcanica che ha testimoniato la fattibilità di interventi non armati anche all'interno di aspri conflitti armati, ma la limitata disponibilità di risorse non ha permesso una continuità dell'intervento.
Il loro intervento è il più ad ampio spettro, coinvolgendo le minacce volontarie interne (p.e. le Associazioni Antimafia), le minacce umane involontarie o naturali (p.e. le Pubbliche Assistenze, le Associazioni di Protezione Civile, gli Scout o l'Associazione Nazionale Alpini). La loro attenzione è rivolta sicuramente alla popolazione ma anche al territorio in tutti i suoi aspetti materiali e culturali. Intervengono sia nella fase di prevenzione, soprattutto con una azione educativa e culturale ma anche diretta come nel caso della manutenzione dei sentieri, sia nella fase di emergenza, sia in quella di recupero, per esempio gestendo i campi per sinistrati. Sono la base di una qualsiasi forma di DCNAN che dovrebbe provvedere ad una integrazione della loro opera e ad un supporto nella loro attività.
Tra gli altri Enti coinvolti nella difesa non può mancare l'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile. I motivi sono diversi. Il primo è di tipo legislativo. Anche dopo la cessazione della leva militare obbligatoria e la trasformazione del Servizio Civile da alternativa al servizio militare a Sevizio Civile Nazionale, la legislazione mantiene al Servizio Civile il compito di partecipare al "sacro dovere di difesa della Patria"[10]. Inevitabilmente l'UNSC, che sovrintende a tale Sevizio Civile, rientra a tutti gli effetti tra quelli a cui è in carico la difesa.
Per altro l'UNSC ha tra i compiti che la legge gli assegna proprio lo studio e la sperimentazione della Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta (DCNAN). Per fare ciò l'UNSC potrebbe darsi anche la funzione di struttura di base della DCNAN, e per fare ciò dovrebbe anche modificare la sua struttura interna e le sue modalità operative, o invece potrebbe, forse più propriamente, impostare una nuova istituzione a cui sarà demandato lo sviluppo della DCNAN [11].
Al momento attuale l'UNSC partecipa alla difesa solo in quanto referente per molte realtà associative ed enti che "fanno difesa" tramite i ragazzi e le ragazze in Servizio Civile. In effetti il modello che adotta attualmente potrebbe essere una forma embrionale di quello che consenta l'attuazione di una DCNAN, essendo una struttura di coordinamento di realtà che al momento dell'emergenza potrebbero essere mobilitate per cooperare nella difesa da qualsiasi tipo di minaccia. Per ora, però, tale funzione di emergenza non sarebbe ancora sviluppabile sia perché gli enti stessi svolgono compiti spesso diversi non interessandosi delle minacce neppure al momento dell'emergenza sia perché i volontari in SC finora non ricevono all'interno della loro formazione alcun contenuto legato agli aspetti della difesa.
Non ha forma gerarchica, anche se ha già una forma burocratica che, se ripetuta in maniera decentrata, contraddirebbe la struttura reticolare utile a coordinare la difesa. Sicuramente non è una forma di difesa armata e viene anche coinvolta, tramite i giovani in servizio civile, in tutte le fasi della difesa.
Per
riuscire ora a capire su quali concetti si basa la DCNAN e quale è la sua
chiave di volta è importante capire innanzi tutto da dove viene il potere, su
cosa si basa: l'importanza del consenso. Qui è utile riportare un testo che può
chiarire l'argomento in maniera "poetica":
"Il primo asteroide era abitato da un re. Il re, vestito
di porpora e d'ermellino, sedeva su un trono molto semplice e nello stesso
tempo maestoso. […] Il Piccolo Principe era molto stupito. Il pianeta era
piccolissimo e allora su che cosa il re poteva regnare? <<Sire>>,
gli disse, <<scusatemi se vi interrogo…>> <<Ti ordino di
interrogarmi>>, si affrettò a rispondere il re. <<Sire, su che cosa
regnate?>> <<Su tutto>>, rispose il re con grande semplicità.
[…] <<E le stelle vi ubbidiscono?>> <<Certamente>>, gli
disse il re. <<Mi ubbidiscono immediatamente. Non tollero
l'indisciplina>>. […] <<Vorrei tanto vedere un tramonto… Fatemi
questo piacere… Ordinate al sole di tramontare…>> <<Se ordinassi a
un generale di volare da un fiore all'altro come una farfalla, o di scrivere
una tragedia, o di trasformarsi in un uccello marino; e se il generale non
eseguisse l'ordine ricevuto, chi avrebbe torto, lui o io?>>
<<L'avreste voi>>, disse con fermezza il piccolo principe.
<<Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può
dare>>, continuò il re. <<L'autorità riposa, prima di tutto, sulla
ragione. Se tu ordini al tuo popolo di andare a gettarsi in mare, farà la
rivoluzione. Ho diritto di esigere l'ubbidienza perché i miei ordini sono
ragionevoli>>. […] <<Non ho più niente da fare qui>>, disse
al re <<Me ne vado>>. […] <<No>>, disse il re. Ma il
piccolo principe che aveva finiti i suoi preparativi di partenza, non voleva
dare un dolore al vecchio monarca: <<Se vostra maestà desidera essere
ubbidito puntualmente, può darmi un ordine ragionevole. Potrebbe ordinarmi, per
esempio, di partire prima che sia passato un minuto. Mi pare che le condizioni
siano favorevoli…>> E siccome il re non rispondeva, il piccolo principe
esitò un momento e poi con un sospiro se ne partì. <<Ti nomino mio
ambasciatore>>, si affrettò a gridargli appresso il re. Aveva un'aria di
grande autorità."[12].
Questo brano può aiutare a far riflettere sul consenso: se qualcuno dà un ordine, questo viene eseguito perché fondamentalmente quell'ordine viene ritenuto "ragionevole" e, quindi, se viene eseguito un ordine "sbagliato" è perché, nel profondo, viene riteniamo ragionevole. Ciò può anche avvenire perché fa paura e quindi, ritenendo ragionevole cercare di superare tale paura, tale ordine viene eseguito. Ogni potere si basa fondamentalmente sul consenso di chi riceve gli ordini, sulla sua disponibilità ad eseguire l'ordine ricevuto. In altre parole, si affida il proprio potere a qualcun altro nella misura in cui si sceglie di essere disponibili ad eseguire i suoi ordini. In ogni caso alla fine la scelta, la decisione, rimane a chi compie gli atti.
Anche la DCNAN si basa su tale meccanismo. Anche in questo caso diventa determinante la capacità delle persone di conservare per sé il potere rifiutando il consenso, nel caso in cui colui a cui è stato affidato momentaneamente il compito di scegliere per gli altri cedendo a lui il proprio potere, richieda o anche esiga qualcosa di non accettabile, o anche sono di non condiviso. Per questo motivo la DCNAN riesce a togliere il potere a chi lo detiene: chi ha il potere lo ha perché gli viene affidato, o lasciato, e smette di averlo se gli si nega il consenso. Perfino l'atto estremo della morte non consente di impossessarsi del potere altrui perché, ovviamente, chi viene ucciso non potrà più fare ciò che gli viene ordinato. Uccidere chi non obbedisce serve solo per impaurire gli altri, ma se ciò non avviene l'unico motivo per uccidere gli altri è perché questi non agiscano contro. Ma ciò ancora non basta per ottenere il potere degli altri.
Per questo motivo un modello di DCNAN ben difficilmente può integrarsi con un modello di tipo gerarchico che, come punto cardine di funzionamento, prevede che chi vi partecipa rinunci incondizionatamente al proprio potere di scelta. Al massimo potrà affiancarsi ad esso, assumendosi pienamente tutti i compiti che anche l'altro intende svolgere. Ciò ovviamente richiede un maggiore impiego di risorse anche se è possibile progettare una fase di transazione che permetta di ridurre al minimo tale ridondanza senza ridurre il livello di difesa.
Da un punto organizzativo la struttura della DCNAN richiede delle caratteristiche abbastanza diverse dagli altri modelli di difesa.
La prima differenza è il tipo di struttura decisionale. Se tutti i modelli militari hanno intrinsecamente una struttura gerarchica, i modelli civili di difesa, armata e non armata, possono anche adottare un processo decisionale di tipo gerarchico, ma ciò, oltre a contraddire in buona parte certi assunti di partenza come la democraticità del modello, non sfrutta in positivo la possibilità di adottare un diverso processo decisionale. Il modello gerarchico, infatti, è facilmente decapitabile, intrinsecamente rigido, mentre, al contrario, il processo decisionale dei modelli civili dovrebbe sfruttare in pieno la possibilità di azione autonoma, di differenziare la risposta, di adattabilità ai contesti rapidamente modificabili. Il grosso vantaggio di una struttura gerarchica rispetto ad una organizzazione poco strutturata è soprattutto relativo all'efficienza, che molte volte, però, non corrisponde ad efficacia, cioè al raggiungimento degli scopi prefissati. Per soddisfare pienamente le caratteristiche relative al modello di difesa civile la struttura dovrà poter contare sulla partecipazione collettiva decentrata anche per ridurre il rischio di abusi di potere. Una struttura reticolare opportunamente studiata e condivisa, pur non rinunciando all'efficacia consente di sfruttare tutti i vantaggi dell'abbandono della piramide gerarchica.
Una scelta di questo genere richiede però una notevole evoluzione culturale. La nostra società è talmente pervasa dell'idea di gerarchia che oramai la si ritiene quasi una scelta naturale, istintiva. Fa parte della nostra struttura mentale a tutti i livelli, è alla base dei nostri sistemi di classificazione e di organizzazione, viene imparata fin dalla più tenera infanzia a partire dalle relazioni parentali tanto che viene utilizzata anche in contesti che fanno fatica ad essere assimilati ad una struttura gerarchica.
Per comprendere meglio questo concetto si può prendere il caso della struttura familiare. I bambini nei primi anni di vita imparano che i membri del proprio nucleo familiare sono inseriti in una struttura ad albero, l'albero genealogico, in cui ci sono membri che discendono da altri membri e da cui a loro volta discendono altri membri. Perfino un aspetto che in qualche maniera contrasta con la visione gerarchica in cui sopra c'è uno solo che precede tutti quelli che seguono, il fatto che si nasce da due genitori e non da uno solo, in qualche maniera è stato "nascosto" nella famiglia di tipo patriarcale, ignorando nella scrittura dell'albero genealogico uno dei due genitori, in modo da avere, come in tutte le strutture gerarchiche ad albero un solo predecessore (che guarda caso nelle scienze logiche prende il nome di nodo padre).
In tutto il nostro cammino di crescita veniamo istruiti a strutturare la nostra realtà in una visione gerarchica, e questo avviene soprattutto nella nostra società in cui si ritiene necessario classificare e ordinare ogni cosa. Tale tipo di forzatura, per altro, viene fatta anche in altri ambiti: per esempio nelle scienze naturali l'ornitorinco, animale che allatta i cuccioli che nascono dalle uovo, non potendo essere annoverato gerarchicamente né tra i mammiferi (nasce da uova) né tra i non mammiferi (allatta i piccoli) viene considerato una anomalia.
Ciò però deriva in massima parte da
caratteristiche culturali della nostra società. in altre società in cui siano
normali relazioni familiari di altro genere, come nel caso della nascita di
figli fuori da contesti di famiglie stabili il legame familiare non avrà più
una struttura gerarchica ma più propriamente a rete, dove ancora ci saranno
anche due predecessori, i propri genitori naturali, ma in cui le altre
relazioni saranno variamente intrecciate, ognuna con una propria importanza
senza un ordine di valore. Questo è ciò che avviene in molte altre parti del
mondo e che sta diventando sempre più frequente anche nella nostra società, e
che influenza notevolmente la stessa struttura del modo di pensare, la cultura,
perfino a livello del linguaggio[13].
Con questo non si intende negare la validità della rappresentazione gerarchica della realtà, in molti casi può essere utilissima, almeno come semplificazione, per comprendere la struttura della realtà, ma è importante rendersi conto che è una delle possibilità, non l'unica. Una delle conquiste della cultura degli ultimi decenni è proprio il concetto di relazione di rete come struttura di una relazione sociale. Nella rete non ci sono predecessori e successori o se ci sono lo possono essere solo relativamente ad un contesto ma magari sono l'inverso in un altro. Anche a livello politico questo modello comincia a diventare, per quanto ancora immaturamente, un paradigma organizzativo. Tale immaturità deriva in buona parte proprio dal retaggio culturale che ci fa vedere come "naturale" l'approccio gerarchico a qualsiasi tipo di struttura sociale.
Per comprendere quanto possa essere difficile sovvertire il paradigma gerarchico basta pensare al fatto che si da per assiomatico il fatto che in una organizzazione ci deve essere una unica persona che decide, cosa ben rappresentata dei moltissimi proverbi che affermano che in una cucina ci deve essere un unico cuoco. Ma sempre più spesso le organizzazioni industriali più complesse tendono ad adottare delle configurazioni che contraddicono tale affermazione per buona parte della loro struttura.
Proprio per questo motivo per giungere alla definizione di una valida struttura della DCNAN è molto utile una evoluzione culturale che, senza negare l'utilità e l'importanza dell'approccio gerarchico, permetta di sceglierlo solo nei casi in cui sia veramente utile, adottando altri modelli, primo tra tutti quello a rete, quando questi sono più adatti.
Può
essere utile a questo proposito citare che uno dei più noti ed efficaci
utilizzi del concetto di rete in sostituzione di un approccio gerarchico ha
preso inizio in un contesto militare per poi trasformarsi in una
"conquista" largamente civile. La struttura a rete di Internet che
consente di collegare computer collocati in luoghi lontani su tutta la faccia
della terra senza che vi siano nodi più importanti di altri è stata concepita
per scopi militari per permettere le comunicazioni anche in caso di attacchi
nucleari, evitando che la distruzione di un nodo nevralgico della struttura
gerarchica di comunicazione bloccasse la comunicazione tra tutti gli altri nodi[14].
Di strutture a rete ve ne possono essere di vario genere e, per quanto degenere, anche un albero gerarchico è una rete, per cui è importante sapere scegliere, tra le diverse possibilità, quale sia la struttura più adatta alle diverse situazioni. Per questo bisogna tenere conto dei vantaggi e delle debolezze che una struttura reticolare può presentare[15]. Per esempio in una relazione di tipo gerarchico non esiste problema di ridondanza in quanto la comunicazione che proviene dal superiore è unica, mentre in una situazione di rete possono arrivare da nodi diversi comunicazioni anche contraddittorie. La mancanza di ridondanza però diventa uno svantaggio nel caso in cui un nodo superiore non sia più in grado di fornire la comunicazione.
Un'altra differenza tra le strutture gerarchiche e quelle reticolari è che una volta che è stabilita una relazione gerarchica questa viene usualmente utilizzata per qualsiasi tipo di relazione mentre nel caso di strutture a rete è facilmente concepibile avere diversi tipi di relazione, anche concepite gerarchicamente, per finalità diverse. In altri termini il comandante è colui che decide per qualsiasi questione relativa ai suoi sottoposti mentre il responsabile di un servizio può decidere sulle questioni relative al suo servizio ma dipenderà dal responsabile di un altro servizio per le questioni a questo connesse. Ciò riduce l'accentramento del potere in poche mani e il conseguente rischio di abuso o di tracollo.
Una delle possibili strutture che integrano i vantaggi delle strutture gerarchiche e di quelle reticolari si potrebbe definire "a torta". Nell'organizzazione si individueranno competenze ed interessi diversi. Come semplice esempio si possono individuare degli ambiti territoriali (le fette della torta) e degli ambiti tematici (gli strati della torta). Negli ambiti territoriali ci si prenderà cura di tutte le tematiche per il proprio territorio mentre per gli ambiti tematici si svilupperanno le competenze su quel tema per tutti i territori.
La responsabilità della cura negli ambiti potrà essere strutturata nelle maniere più adatte, eventualmente anche gerarchicamente. Con una organizzazione di questo genere di solito l'azione viene affidata all'ambito territoriale mentre la formazione, la ricerca e il reperimento delle risorse principali relative viene demandato agli ambiti tematici. Questo sistema organizzativo, pur consentendo una riduzione nell'impiego delle risorse comuni dando ai singoli territori la possibilità di usufruire delle competenze migliori disponibili sui diversi temi, prevede un passaggio di responsabilità di azione tra il livello tematico e quello territoriale che evita l'abuso in quanto non c'è nessuno che abbia l'esclusiva delle responsabilità.
Questo modello organizzativo è analogo al federalismo ma non uguale. Infatti non c'è una distinzione delle competenze tra i livelli territoriali assegnando ad un livello più locale alcuni aspetti e a livello generale tutti gli altri (o viceversa) ma la responsabilità nel processo decisionale è condivisa dai livelli con una forma analoga alla cosiddetta "sussidiarietà". E' una struttura già adottata in alcuni contesti, anche tra quelli interessati alla difesa. Molto simile infatti è la relazione tra i diversi attori che si interessano delle difesa sanitaria.
Ovviamente la struttura "a torta" può essere organizzata in maniera ancora più complessa individuando in generale gli ambiti per cui c'è interesse o necessità di prendersi cura e all'interno dei quali potranno essere individuati dei responsabili da cui altri dovranno dipendere oppure delle sotto-responsabilità strutturate a rete. Gli ambiti saranno messi in relazione tra loro principalmente definendo le interfacce di ogni ambito, in modo che tutti sappiano a chi rivolgersi per affrontare una necessità e quali possono essere le risorse che tutti gli altri possono fornire. E' ovvio che tutto questo funziona solo nella misura in cui c'è volontà di collaborazione, ma come si diceva qualsiasi tipo di cooperazione si basa sul concetto del "consenso". Il vantaggio in questo caso che anche nel caso l'intenzione di collaborare decada, il sistema continua a funzionare per parti separate mentre nel caso di una struttura gerarchica l'ammutinamento blocca qualsiasi tipo di funzionalità mettendo necessariamente in contrapposizione le parti.
Al momento attuale sono attivi modelli di difesa diversi per minacce diverse con una limitata interazione tra essi. In una visione unitaria della difesa collettiva serve attuare una integrazione strutturale in cui parti diverse vanno ad integrarsi. Almeno in una fase transitoria, sarebbe necessario ipotizzare modelli di difesa misti in cui si affiancano strutture di tipo diverso. Il processo di integrazione incrementale avverrebbe senza una immediata smobilitazione dei modelli di difesa attuali anche per rispettare la richiesta di sicurezza proveniente da chi non si accontenta di contare sulla capacità di autodifesa delle persone e si fida solo di modelli già realizzati e concretizzati che abbiano dato prova di funzionare non solo ipoteticamente, ammesso che gli attuali modelli siano tali. Si verrebbero perciò ad affiancare due strutture di difesa autonome ugualmente attive ma non integrate se non per parti. Questo può portare ad un ridondanza di risorse impiegate ma permette di arrivare a trasformazioni che non possono essere immediate. Questa fase può anche diventare strutturale con modelli di difesa diversi contemporaneamente funzionanti, soprattutto nel caso in cui non è possibile arrivare a scelte collettive unanimemente o almeno ampiamente condivise. In fondo è ciò che già ora avviene per quanto riguarda la difesa da minacce interne essendoci in Italia diverse Forze di Polizia che lavorano in maniera parallela con una limitata interazione.
L'affiancamento potrebbe anche essere concepito come una vera e propria integrazione di modelli diversi ma ciò di solito porta ad uno snaturamento dei principi di fondo di alcuni di essi. Per esempio una DCNAN integrata con una difesa militare armata renderebbe meno etica e credibile la prima, e quindi più vulnerabile e meno efficace, e potrebbe indebolire la struttura gerarchica della seconda.
Per quanto riguarda la DCNAN, ci sono due approcci strutturali che determinano scelte diverse nel suo cammino di strutturazione.
Nel primo approccio la DCNAN andrebbe ad integrarsi con la difesa militare invece di andare a sostituirla ma, come si diceva, questo porterebbe ad un modello misto di dubbia efficacia e sicuramente di dubbia correttezza etica per chi opta per una difesa non armata su basi etiche.
Il secondo approccio ha a sua volta due alternative per arrivare a compimento del processo di strutturazione. La prima alternativa prevede di far crescere la DCNAN e quando questa raggiunge un livello sufficiente ad assicurare una difesa completa, si procede a riconvertire la difesa militare armata. Questo non aumenta il livello di difesa se non molto marginalmente dato che ogni modello provvede a difendere dalle stesse minacce ma anzi rischiando una sovrapposizione di funzioni che potrebbe creare confusione e complicazioni e allo stesso tempo richiede una duplicazione di impiego di risorse.
La seconda alternativa, partendo da un alto livello di difesa armata, la riconverte progressivamente e contemporaneamente fa crescere gradualmente la DCNAN, affiancando per ambiti diversi quindi i due modelli pur senza integrarli, sostituendo nei modi le funzioni di difesa.
Questa ultima alternativa, che nella letteratura sulla Difesa Polare Nonviolenta prende il nome di "transarmo"[16], è preferibile perché, pur non richiedendo l'integrazione delle due difese, mantiene il livello di sicurezza costante (dal punto di vista generale del cittadino non motivato eticamente) perché non c'è la paura di sentirsi indifeso e, allo stesso tempo, permette di mantenere equivalenti le risorse impiegate.
Uno dei problemi principali del passaggio dalla difesa militare armata alla DCNAN è quello dell'eliminazione e riconversione sia dell'industria bellica nazionale che delle forze armate. Non possono essere ignorate le necessità di tutte le persone impiegate stabilmente in tali attività. Per quanto si ritengano tali attività non accettabili, e forse quanto più ciò avvenga, diventa necessario, affinché il processo di passaggio ad una DCNAN ci concretizzi, tenere in conto della riconversione al civile delle produzioni e delle professionalità. Come insegnano le esperienze di riconversione dell'industria bellica, in alcuni casi la riconversione oltre che doverosa diventa anche vantaggiosa e auspicabile perché dà a chi vi è impiegato una maggiore stabilità e a volte anche una maggiore redditività. In alcuni casi però tale processo di riconversione, soprattutto per alcune professionalità, è più problematica e su questo è necessario impegnare risorse di studio.
Un altro ostacolo al processo di riconversione verso una DCNAN deriva dal fatto che la maggiore compartecipazione nei processi decisionali che strutturerebbe nel paese potrebbe essere avversata da quelle forze interne che avrebbero interessi a creare una minaccia volontaria interna in quanto il Paese, non affidando il proprio bisogno di difesa ad altri che potrebbero abusarne, assume una capacità di reazione alle minacce interne estremamente più alta. Questo richiede principalmente di levare consenso a tali forze di minaccia interna con un percorso culturale ed educativo che levi forza a questo tipo di ostacolo e consenta di instaurare una difesa da minacce interne che eviti il loro risorgere, con una attenzione che eviti la vanificazione di tutto il lavoro di trasformazione del modello di difesa.
La DCNAN parte dall'assunto che la collettività tutta è responsabile della propria difesa e che ciò avviene mettendo in comune i beni disponibili. La prima cosa che verrebbe messa in comune sono i servizi da utilizzare per contrastare indifferentemente le diverse minacce. Ciò già avviene in parte nel contesto della Protezione Civile che, per esempio, coordina e fa collaborare il Servizio Sanitario con i Vigili del Fuoco e la Polizia. Si tratterebbe di ampliare tale tipo di impostazione "estendendo" le competenze della Protezione Civile oppure affidando all'UNSC o meglio, ad un ente apposito, le funzioni della Protezione Civile assieme alle funzioni di difesa attualmente non affidate a questa.
Oltre ai servizi già attualmente funzionanti e disponibili, però, diventa importante integrare nella difesa, mettendole in comune, le risorse umane e materiali presenti sul territorio. Come la Protezione Civile ha un elenco delle roulottes, delle ruspe ma anche di specialisti utilizzabili per un intervento, analogamente il servizio di DCNAN dovrebbe avere un censimento delle risorse utilizzabili.
Questo permette di non avere lo spreco di risorse tipico delle difese militari in cui ingenti finanziamenti vengono impiegati per risorse che spesso rimangono inutilizzate o sottoutilizzate (come nel caso dei carri armati usati come spartineve).
Ovviamente le informazioni legate alle risorse disponibili, sia umane che materiali, dovrebbero essere trattate con sufficiente attenzione per evitare che vengano utilizzate da chi minaccia la collettività, ma la struttura reticolare che soggiace alla DCNAN permette facilmente una decentralizzazione di tali informazioni che le rende molto meno vulnerabili rispetto ad organizzazioni centralizzate in cui le informazioni sono accentrate e quindi acquisibili in un unico colpo. Per altro la delicatezza di una informazione è spesso legato alla sua unicità e univocità: quanto meno sono le informazioni e quanto più sono specifiche, quanto più importante diventa venirne in possesso. Ma se un censimento è ridondante dato che classifica quante più informazioni possibili, comprese quelle parziali e incomplete, venire in possesso di una informazione diventa meno importante e cruciale anche perché dovrà poi essere verificata e ulteriormente selezionata. Per esempio venire in possesso di una rubrica di solo 50 persone dice molto sulle relazioni del possessore della rubrica mentre se la rubrica contiene 5000 persone la ridondanza dell'informazione, che però il possessore sarà in grado facilmente di discriminare, renderà quasi insignificante il contenuto di quella rubrica per tutti quelli interessati a capire le relazioni del suo possessore.
L'informazione parziale, però, è molto importante per riuscire ad aggregare le risorse anche parzialmente disponibili ma ugualmente importanti nella loro integrazione per dare una risposta alle esigenze. Se per ottenere una cosa è possibile richiederla solo ad una persona, impedendo a questa di fornirla si impedirà a tutti di ottenerla mentre invece se la stessa cosa è possibile ottenerla col concorso parziale di molti attori, impedire anche ad un certo gruppo di fornirla non impedisce a tutti gli altri di ottenerla, almeno parzialmente.
E' possibile individuare alcune fasi legate alla difesa: la fase preventiva, di emergenza e di recupero. Per ognuna di queste fasi è necessario che il servizio di DCNAN svolga delle funzioni specifiche.
Oltre alle tre fasi proprie dei tempi della difesa collettiva, la necessità di strutturare da nuovo un servizio di DCNAN richiede di tenere in considerazione una fase di impostazione ed organizzazione del servizio stesso con proprie funzioni specifiche che consentano di arrivare ad un funzionamento a regime del servizio stesso.
Vediamo quindi quali sono le funzioni che la DCNAN deve svolgere nelle diverse fasi e come possa farlo.
In un paese in cui l'unico modello ipotizzato finora è quello militare è necessario curare la fase di prima "installazione" di un servizio di DCNAN. Il fatto che una legge dello stato preveda tale tipo di difesa non significa, ovviamente, che questa sia una realtà, ma richiede di progettare un modello di servizio e quindi concretizzarlo in fasi successive che prevedano anche sperimentazioni e possibili modifiche, a maggior ragione per il fatto che tale previsione legislativa, almeno finora, è unica nel mondo.
Oltre allo studio e alla ricerca che saranno propedeutiche, è necessario anche finanziare la progettazione e conseguente realizzazione una struttura organizzativa generale del servizio di DCNAN che permetta un supporto istituzionale alla difesa non armata e nonviolenta dei cittadini.
Nella fase iniziale il primo problema è quello di riconoscere e censire i servizi che si intende integrare, almeno in un primo tempo, nel quadro della DCNAN, riconoscerne le interfacce verso l'esterno e il grado di adattabilità alle esigenze di integrazione.
Come chiunque si sia interessato all'integrazione di sistemi organizzativi, il processo di integrazione deve fare attenzione a non bloccare i singoli servizi nella fase di integrazione, rispettando le rigidità che inevitabilmente si presentano, soprattutto in un contesto pubblico come quello in cui la DCNAN si sviluppa.
L'individuazione delle interfacce originarie deve portare a definire livelli diversi di interfacciamento che consentano, per approssimazioni successive, di assimilare i diversi servizi già esistenti ai sottoservizi propri della DCNAN.
Tra i servizi da integrare, oltre a quelli forniti già dallo Stato, è molto importante coinvolgere tutti gli attori che già adesso sono coinvolti nella difesa su base volontaria (le associazioni e i gruppi). Lo scopo di ciò è doppio: in alcuni casi si tratterà di integrare dei servizi trasformando in funzioni pubbliche le attività svolte dai volontari (p.e. istituendo i Corpi Civili di Pace Nazionali) e in altri si tratterà di organizzare la collaborazione con queste realtà all'interno del servizio di DCNAN (p.e. predisponendo i protocolli di mobilitazione delle realtà di volontariato al momento dell'emergenza).
Il secondo argomento da affrontare è quello del censimento delle minacce ipotizzabili e delle risorse presenti sul territorio che siano in grado di contribuire alla risposta alle minacce previste. Tali risorse potranno essere sia umane che materiali, sia sociali che economiche.
A seconda delle scelte iniziali riguardo al modello di difesa da adottare e degli aspetti della vita civile da tenere in considerazione all'interno della difesa, il censimento delle minacce potrà essere più o meno ampio e di conseguenza il numero di risorse interessate alla risposta a tali minacce potrà cambiare.
Già in questa fase sarà importante censire non solo le risorse ma anche le informazioni relative alla loro collocazione e alla loro connessione sia fisica che sociale nel territorio.
Se già nella fase preventiva alle minacce si crea il problema di evitare abusi nell'uso delle informazioni raccolte, in caso di minacce umane tale attenzione diventa ancora più cruciale per non mettere a rischio l'incolumità di coloro che sono coinvolti nella difesa. D'altra parte c'è da considerare che se il censimento è molto ampio, il fatto che una persona sia coinvolgibile nei meccanismi della difesa da tutte le minacce non implica da quale parte tale persona sia schierata in caso di minacce volontarie.
E' comunque necessario avere attenzione sia nelle modalità di archiviazione delle informazioni, per esempio decentrandole al massimo, sia nelle modalità del loro uso, per esempio prevedendo soprattutto un uso aggregato tale da evitare l'individuazione di singoli individui.
Altrettanto importante è il censimento delle minacce. Ciò consente di predisporre degli scenari di risposta che rendano decisamente più efficace la difesa. Questa funzione richiede ed induce un cambiamento nel rapporto tra le persone e le minacce a cui sono sottoposte. In genere, soprattutto in alcune culture, le minacce vengono rimosse o esorcizzate trascurandole. Se ciò già avviene "culturalmente" spesso sono gli stessi responsabili della gestione collettiva che nascondono le minacce non evidenti per evitare di doverne tenere conto, almeno fino al momento in cui la minaccia si concretizza. Una DCNAN richiede, al contrario, che la maggior parte delle minacce vengano riconosciute e, per di più, che tale conoscenza venga resa pubblica in modo che la responsabilità della loro prevenzione e contrasto possa essere assunta da tutta la popolazione.
Infine, per giungere ad un sistema efficace, sarà indispensabile sviluppare applicazioni specifiche per svolgere sia i compiti della fase di emergenza che quelle delle altre fasi. Tali applicazioni dovranno partire da sperimentazioni sul campo che permettano di fare la sintonizzazione delle funzionalità alle esigenze e alle possibilità presenti.
Tali applicazioni che possono essere integrate, a poco a poco, in un sistema complessivo di DCNAN potranno riguardare aspetti nuovi o aspetti che già adesso sono in carico a strutture già esistenti. Per esempio le applicazioni per il controllo del volo aereo attualmente utilizzate potranno essere integrate direttamente mentre le applicazioni per lo scambio di informazione e la conseguente raccolta del consenso decentrato dovranno essere concepite ex novo.
Nella fase organizzativa diventa cruciale la formazione iniziale del personale. Tale funzione, se svolta non correttamente può rallentare se non proprio bloccare e distruggere tutto il processo di trasformazione. Oltre alla fase di addestramento svolta in parallelo alla predisposizione e sperimentazione delle applicazioni nuove e della loro integrazione con quelle già funzionanti, sarà necessario una opera di informazione e formazione a largo spettro che consenta di "restituire" alla popolazione le competenze e le responsabilità della propria difesa. Ciò può essere fatto con livelli a cascata di eventi formativi in cui vengono prima formate persone che attueranno successivi gradi di formazione, la cosiddetta formazione dei formatori. In questo contesto molto importante è far sì che la formazione dei volontari del Servizio Civile integri una parte relativa alla DCNAN possibilmente con periodi di formazione residenziale comunitaria che permettano anche una aggregazione sociale molto importante nella risposta all'emergenza.
La DCNAN, come tutti i modelli di difesa, fa fruttare il più possibile il proprio potere deterrente nella misura in cui è in grado di dimostrare in anticipo la propria forza, rispetto ad una ipotetica minaccia volontaria. Questo richiede sia una parte di comunicazione che consenta di presentare all'esterno la forza della difesa ma, ovviamente, richiede anche un notevole lavoro preventivo di preparazione della difesa che dia dei risultati che evidenzino la reale deterrenza.
Altri aspetti molto importanti, in fase preventiva, riguardano la preparazione culturale, sociale e tecnologica di coloro che sono coinvolti nella difesa per i diversi ambiti di competenza e di tutta la popolazione in generale.
La prima azione da fare in fase preventiva è di cercare di ridurre il rischio della minaccia. Ovviamente ciò a significato diverso a seconda della minaccia. Se per le catastrofi naturali si possono concepire opere infrastrutturali di protezione (p.e. le barriere paravalanghe o l'innalzamento e rinaturalizzazione degli argini dei fiumi) e per le minacce umane involontarie si può provvedere con azioni di controllo e manutenzione che riducano i rischi di fatalità (p.e. il controllo dei sistemi di sicurezza degli impianti industriali o controllo dei versanti delle dighe), per le minacce volontarie la riduzione del rischio può essere attuata con politiche di contrasto culturale o di sostegno economico.
Una volta censite le minacce, diventa necessario, soprattutto in un'ottica preventiva, monitorare le minacce censite. A seconda della loro tipologia questo compito potrà essere svolto da servizi appositi o dalle risorse che si sono coinvolte nella DCNAN. E' necessario avere già predisposto ed aggiornato tutte le procedure che consentano una risposta efficace alle minacce. Tale compito deve ovviamente essere propedeutico all'emergenza.
Questa funzione deve anche comprendere l'aggiornamento del censimento delle minacce che integri le nuove minacce e, auspicabilmente, rimuova dal censimento le minacce che sono cessate nel frattempo. Questo lavoro di aggiornamento potrà essere fatto in maniera decentrata, assegnando a chi già cura alcuni ambiti il compito di rilevare le nuove minacce, potendolo fare con competenza e in tempi ristretti rispetto al loro insorgere. L'alternativa potrebbe essere quella di procedere a degli aggiornamenti saltuari ma ciò rende l'informazione meno affidabile e non riduce ma, eventualmente, aumenta l'impiego di risorse. In ogni caso la applicazioni dovranno essere concepite in modo da rendere agevole l'aggiornamento del censimento.
Dato che la deterrenza dipende dalla misura in cui chi minaccia ha coscienza dello svantaggio che gli deriverebbe dall'attuazione della minaccia, è fondamentale che la capacità di risposta da parte del sistema sia resa il più possibile nota e comunicata. Ciò può essere problematico e contraddittorio nei sistemi come quelli militari in cui la segretezza è un criterio di base, per cui nelle parate militari vengono presentati grandi sistemi d'arma sul funzionamento dei quali sarebbe possibile anche intessere leggende metropolitane. Nei sistemi di DCNAN tutta la forza di deterrenza può essere presentata pubblicamente proprio perché per sua natura le procedure di risposta dovranno essere pubbliche. La deterrenza, quindi, non sarà ipotetica in un gioco di credibilità vicendevole tra chi minaccia e chi è minacciato, ma risulta molto più stabile perché si basa sulla reale capacità di risposta. Questo per altro implica che un servizio DCNAN dovrà essere realmente in grado di rispondere e non solo minacciare di farlo, ma questa necessità può indurre un notevole stimolo al coinvolgimento di nuove risorse. Ovviamente perché ciò si attui, proprio sulla base del meccanismo del consenso, ciò che si intende difendere dovrà essere un valore largamente condiviso perché altrimenti potrebbero non esserci sufficienti risorse a difenderlo. In altre parole verrà difeso solo ciò che trova sufficienti difensori; il metodo consensuale potrà aiutare a far convergere le risorse in un'azione comune ma non potrà costringere nessuno a difendere ciò che non intende difendere.
Sempre in fase preventiva è importante continuare a coinvolgere le risorse del territorio, sia le nuove, per aumentare la forza della possibile risposta, sia le vecchie, per mantenerle coordinate con le altre. Questo lavoro ha lo scopo principale di rinsaldare e tenere aggiornato il legame tra le varie parti del sistema. Le nuove risorse avranno bisogno di trovare delle occasioni di preparazione che consentano di integrarsi nel sistema complessivo.
Oltre a prevedere modalità di coinvolgimento volontario si può anche ipotizzare che tutti i cittadini, siano tenuti ad un periodo obbligatorio di addestramento, sia esso compreso nel curriculum scolastico oppure come momento a sé stante. In tale maniera potranno essere coinvolti al momento dell'emergenza in maniera efficace.
Dato che questa preparazione deve essere diffusa nella società, è evidente che deve essere fatta molta cura nella formazione degli attori della difesa.
All'interno di questa formazione deve esserci l'educazione, a livello culturale, nel senso che occorre insegnare fin da piccoli, ad esempio, quale può essere una reazione nonviolenta alla violenza.
Ovviamente dovrà anche esserci tutta una fase di formazione che consenta alle diverse parti della struttura reticolare di cooperare efficacemente.
Per esempio, i volontari del Servizio Civile che anche a norma di legge sono tenuti a partecipare alla difesa della Patria [17], dovrebbero rientrare tra le risorse da formare alla DCNAN, magari con un periodo residenziale in comune in cui studiare e sperimentare le relative modalità di azione al momento dell'emergenza. Anche il loro servizio dovrebbe essere concepito in modo da prevedere la possibilità di essere distaccati al momento dell'emergenza.
La formazione potrà essere strutturata a diversi gradi per poter essere la più ampia e diffusa possibile, differenziandosi anche per funzioni e ruoli diversi.
Per consentire una reale partecipazione nelle decisioni è fondamentale dare la possibilità alle persone di avere a disposizione tutte le informazioni che le riguardano. Ciò significa essere in grado di distribuire correttamente l'informazione senza creare pericolosi gangli informativi e allo stesso tempo senza escludere nessuno dalle informazioni loro necessarie per poter prendere consapevolmente le decisioni necessarie.
Come detto in precedenza, è importante tenere aggiornato, tra le altre informazioni, anche il censimento delle risorse, per evitare una obsolescenza del censimento stesso.
La distribuzione dell'informazione potrà essere attuata utilizzando diverse tecnologie decentrate (da Internet alle Radio e TV di Servizio Pubblico). Tale funzione informativa, poi, avrà bisogno di un supporto tecnologico specifico per l'utilizzo in fase di emergenza e dovrà non essere monodirezionale ma basarsi su uno scambio di informazioni sufficientemente certificate che consenta a tutti gli attori di essere autonomi sia nell'azione ma soprattutto al momento della decisione. Ciò, per esempio, potrebbe significare una ridistribuzione delle frequenze radio in modo da riservare spazio per canali di informazione radio televisivi decentrati ed autonomi.
Quando una minaccia si concretizza comincia la fase di emergenza. E' il momento in cui il danno temuto diventa attuale e concreto. In questa fase è necessario prima di tutto provare a bloccare la minaccia, se è possibile, e poi intervenire per tutti quegli interventi che, se attuati in tempi ristretti, riducono al minimo il danno generale. Se la minaccia si concretizza in maniera istantanea, come nel caso di molte minacce naturali o non volontarie non prevedibili tipo i terremoti o molti crolli, la fase di emergenza si riduce notevolmente nel tempo ma ha un picco notevole di richiesta di risorse. In tutti i casi comunque è necessario attivare in tempi rapidi le risorse disponibili evitando ingorghi negli interventi. Per quanto riguarda le minacce volontarie, sia interne che esterne, possono essere assimilate alle minacce imprevedibili gli attacchi terroristici mentre alle altre le occupazioni militari e i golpe.
In questa fase il censimento delle risorse diventa essenziale per riuscire a strutturare la risposta. Ovviamente in questa fase l'informazione raccolta deve essere utilizzata senza mettere a repentaglio coloro che si sono dati disponibili alla collaborazione nella difesa.
Per fare questo è importante aver concepito un sistema "sicuro" già dalla sua progettazione. Questo può basare la sua sicurezza sulla massima decentralizzazione dell'informazione che consente di non rendere disponibile a chi ha provocato l'emergenza tutta l'informazione ma solo alcune parti limitate e di per sé poco significative. Per rendere meno fragile la struttura è importante che ognuno sia in possesso solo dell'informazione a lui indispensabile ma nella quantità minore possibile, non tanto per mantenere il segreto quanto per non dare un motivo ulteriore di attacco a persone che diventino depositarie di una notevole quantità di informazione. Una organizzazione reticolare permette di fare questo pur continuando a consentire un efficace collegamento tra le parti. Tutto al contrario una organizzazione gerarchica risulta delicata perché colpendo i centri summitali si disarticola tutta la struttura.
Per quanto riguarda il contrasto alle minacce volontarie, alla base della DCNAN, in una gradualità di intervento, ci sono tre tipi di azioni: la non-collaborazione, l'ostruzione e la disobbedienza civile.
Tale gradualità è fondamentale per ridurre al minimo lo sforzo e massimizzare il risultato. Ciò ha due motivi: evitare di sprecare risorse se le cose possono essere ottenute con meno risorse ed evitare di innalzare il livello del conflitto e quindi del possibile danno vicendevole se ciò non è necessario.
La non collaborazione consiste nel rifiuto di fare ciò che viene ordinato di fare (se contrario ai principi che si ritengono giusti), per cui, ad esempio, se viene ordinato di inviare delle persone in un campo di concentramento, ci si rifiuta anche di apporre una semplice firma perché ciò sia fatto.
La non collaborazione si può realizzare anche ad un livello più "tenue": ad esempio, un oggetto da recapitare con estrema solerzia, può essere inoltrato invece con estrema lentezza, o "perso" per strada. In un'ottica puramente nonviolenta dal momento che si ricorrerebbe, almeno velatamente, alla falsità, un'azione di questo tipo non sarebbe accettabile, però in una visione più generale, questa ed altre sono tecniche che permettono di "incastrare" il potere, senza d'altra parte portare il potere a reagire, perché fondamentalmente non c'è sufficiente giustificazione alla reazione: se un impiegato perde un foglio può essere anche successo casualmente, non necessariamente volontariamente.
Quanto più è ampia la sua forza, la non collaborazione porta all'incepparsi del potere instaurato, perché questo non riesce più ad avere abbastanza forza per controllare il territorio e la popolazione e far fare quello che vuole.
Per esempio, dopo la prima guerra mondiale, la Francia e il Belgio occuparono la Ruhr per ottenere il risarcimento dalla Germania dei danni di guerra. Dato che la Germania non aveva più un esercito, il governo tedesco, non potendo difendersi militarmente, diede disposizione alla popolazione e alle strutture governative di non collaborare assolutamente con chi aveva invaso quel territorio. i Francesi non riuscirono a fare quello che volevano non perché ci fosse qualcuno che si ribellava con la violenza, ma proprio perché non riuscivano a far eseguire i propri ordini. L'invasione era di tipo "pacifico" nel senso che era quasi formale: il suo scopo era solo di ottenere il risarcimento, ottenuto il quale sarebbe finita. Ma l'occupazione venne a costare notevolmente proprio perché non c'era collaborazione da parte delle forze interne del territorio, sia dalla popolazione sia, soprattutto, dalle stesse strutture statali. Il Belgio e la Francia dovettero uscire dalla Ruhr perché non riuscivano a ricavare nulla dall'occupazione perché la produzione era crollata improvvisamente, non essendoci collaborazione ma anzi erano costrette a utilizzare proprie risorse umane per sostituire tutta la struttura statale. Sebbene non fosse stata preparata, tale forma di DCNAN ebbe un risultato positivo soprattutto perché promossa a livello istituzionale.
Se la non collaborazione non è sufficiente, il passo successivo nella graduale crescita del contrasto è la cosiddetta "ostruzione" o sabotaggio. Ciò consiste in azioni dirette ad ostacolare oggettivamente l'occupazione (dalla occupazione di un ponte per bloccare per ore i movimenti delle truppe occupanti o la rimozione dei cartelli stradali che rende più difficoltoso muoversi in un territorio sconosciuto come avvenne in Cecoslovacchia nel 1968 al danneggiamento di strumenti e strutture utilizzate dall'occupante). Queste azioni rendono sempre meno praticabile l'occupazione dando sempre meno motivo a proseguirla. Comportano un rischio maggiore di ritorsioni sia su chi agisce direttamente che su eventuali ostaggi, ma, limitandosi al danneggiamento di cose che incide economicamente ma non fisicamente sull'avversario, non dà sufficiente giustificazione ad azioni che mettano in pericolo la vita di persone. Molte volte, la ritorsione ad azioni di ostruzione o di sabotaggio aumenta il grado di coscienza del conflitto e porta sempre più persone ad attivarsi nella difesa.
Il passo successivo, che richiede tale maggior grado di coscientizzazione, è la disobbedienza civile con la contemporanea creazione di strutture decisionali parallele, che porta realmente alla manifestazione totale del dissenso (p.e. in, Iran durante la rivoluzione contro lo Scià, tutta la popolazione scese nelle strade, rendendo impossibile uccidere o imprigionare tutti).
Per le minacce di altro tipo il contrasto ovviamente sarà di genere molto diverso (dalla predisposizione di terrapieni di contenimento delle colate laviche alla predisposizione di squadre antincendio coordinate con l'intervento di aerei ed elicotteri per lo spegnimento degli incendi, alla ricerca di superstiti tra le macerie dei terremoti).
Un altro aspetto legato all'emergenza è quello della evacuazione delle zone interessate alla minaccia. Da un punto di vista organizzativo ciò potrà essere predisposto con piani di evacuazione opportunamente studiati e sperimentati, ma non sono da escludere tutti quegli interventi di adeguamento strutturale che consentono o facilitano una tale eventualità.
In una ottica di ingerenza umanitaria, per la difesa dei diritti umani o per sostenere emergenze altrui, delle azioni di contrasto possono svilupparsi fuori dal propri territorio. Il servizio di DCNAN dovrebbe essere anche in grado di coordinare, anche in concorso con organizzazioni straniere o multilaterali, l'intervento di forze di soccorso e di interposizione in contesti esteri.
Attualmente ciò già avviene in situazioni di Protezione Civile ma si sta realizzando solo in forma indipendente da parte di ONG ed Associazioni per quanto riguarda l'interposizione in attuali zone di conflitto.
Analogamente il servizio di DCNAN deve anche essere in grado di stimolare e valorizzare le azioni di supporto provenienti dall'esterno per supportare le popolazioni e i territori colpiti dalla minaccia. Nella fase di emergenza tutte le risorse devono essere utilizzate e, oltre a quelle proprie del sistema è necessario essere in grado di far convergere e sfruttare anche quelle provenienti dall'esterno come forma di aiuto.
Nel caso la minaccia si concretizzi creando danno, è necessario prevedere strumenti che forniscano informazione ed aiuto alla fase di ripristino per recuperare il prima possibile i danni durante l'emergenza e una volta che la minaccia è superata.
Le persone colpite nella fase di emergenza avranno bisogno di una assistenza personale come nel caso dei profughi o dei terremotati. E' necessario organizzare il censimento delle persone in maniera che gli aiuti siano distribuiti subito in maniera corretta, senza sprechi o mancanze. Bisogna essere in grado di gestire la logistica dell'installazione e della vita ordinaria dei punti di raccolta e assistenza.
L'emergenza crea di solito uno sgretolamento della struttura sociale e per la sua ricomposizione è necessario raccogliere e ridistribuire informazioni sulle persone come per il ricongiungimento delle famiglie o per l'assegnazione di aiuti. Queste informazioni dovrebbero derivare dalle informazioni già disponibili per scopi demografici ma dovranno essere trattati e distribuiti in maniera diversa, sempre avendo l'attenzione di non diffondere informazioni sensibili.
In tutto questo è importante avere la possibilità di aggiornare le informazioni territoriali in seguito alle modifiche che il territorio subisce in seguito all'emergenza. Questa informazione può essere determinante nell'intervento di urgenza ed è a disposizione solo di chi il territorio lo stava già gestendo in maniera organizzata, avendo raccolto i dati già prima dell'emergenza.
Questa è la parte di attività che prosegue con lunghi tempi anche dopo l'emergenza. Potrà essere preparata e strutturata in tempi lunghi dopo che l'emergenza è conclusa, ma ciò non toglie che ha bisogno di essere almeno parzialmente attuata anche durante e subito dopo l'emergenza. Ne è un esempio la gestione dello sminamento dei campi minati o il ripristino delle vie di comunicazione per la distribuzione degli aiuti ai sinistrati.
Strutture dei modelli di difesa da minacce volontarie
Le strutture difensive attuali
Ministero della Difesa (Esercito,
Marina e Aviazione)
Ministero dell'Interni, Economia,
Difesa (Carabinieri), Grazia e Giustizia
Dipartimento di Protezione Civile
Agenzie Regionali per l'Ambiente
Associazioni di volontariato e ONG
Relazione tra DCNAN e altre strutture di difesa
Confronto tra struttura gerarchica
e struttura reticolare
Modelli organizzativi misti:
integrazione, affiancamento e "transarmo"
Servizi comuni e risorse comuni
Funzioni diverse per fasi diverse
Integrazione di servizi esistenti
Censimento delle risorse e delle
minacce
Creazione di applicazioni
specifiche
Diffusione e aggiornamento
dell'informazione
Raccolta e distribuzione
dell'informazione
Bonifica, restauro e ricostruzione
[1] In alcune basi militari statunitensi in Italia come Ghedi e Aviano sono dislocate alcune decine di missili nucleari. L'utilizzo di tali missili è completamente fuori dal controllo delle istituzioni italiane pur avvenendo dall'interno dei confini italiani, anche se le basi militari USA sono a tutti gli effetti delle enclave statunitensi in territorio italiano.
[2] L'Italia ha in dotazioni alcune armi che sono da considerare armi d'attacco. Per esempio la cosiddetta "nave tuttoponte" "Garibaldi" è a tutti gli effetti una portaerei come la sua compagna "Cavour" che tale viene senza pudori riconosciuta anche dal Ministero, e il loro compito è evidentemente quello di permettere l'impiego di mezzi aerei lontano dal territorio nazionale. Se per di più, come scrive anche il Ministero della Difesa italiano in [http://www.marina.difesa.it/programmi/programmi01.htm], i velivoli imbarcati saranno dei Joint Strike Fighter, che secondo Margaret Bone, in "Nascita del Strike Fighter," su The Retired Officer Magazine, Ottobre 1996, sono "effettivamente una famiglia di aerei tattici da attacco della prossima generazione costruiti attorno a un progetto di base comune", risulta evidente la lontananza di tali tipi di sistemi d'arma dal dettato costituzionale.
[3] Le forze armate austriache, eccetto che per un breve periodo durante l'occupazione slovena della Carinzia durante il quale presero il nome di Volkswehr (difesa popolare) e il periodo 1938-1945, quando l'Austria in seguito alla scelta politica di non applica il piano difensivo già studiato venne inglobata dalla Germania Nazista con l' Anschluss, hanno avuto il nome di "Bundesheer" (esercito statale). Nel 1955, l'Austria ha dichiarato la sia Neutralità Eterna inserendola nella Costituzione. Da allora lo scopo principale delle Forze Armate austriache è stato la difesa della neutralità. In seguito alla guerra dei Balcani alla fine del secolo scorso alcune limitazione imposte da trattati internazionali all'armamento austriaco sono state rilasciate. Il coinvolgimento dell'Austria nella Guerra del Golfo del 1991e la sua entrata nell'Unione Europea nel 1995 sono state interpretate come un indebolimento della sua neutralità e magari un primo passo verso una alleanza militare europea se non perfino la Nato. Recentemente l'Austria ha speso parecchio per ammodernare il proprio armamento. Ciò nonostante il mantenimento di forze armate organizzate in questo modo richiede all'Austria l'impiego dell'0,9% del PIL (2004) contro percentuali più alte per altri modelli di difesa (indicativamente 1,2% in Svizzera, 1,7% in Italia, 2,6% in Francia e Gran Bretagna e 3,7% negli USA)
[4] La leva delle forze armate svizzere è obbligatoria per i maschi e volontaria per le femmine. Dal 1966 è possibile fare servizio civile sostitutivo su basi morali per un tempo superiore del 50%, sottoponendo le proprie motivazione al vaglio di una commissione che mediamente passa il 90% circa delle domande. I riformati pagano il 3% di tasse in più. Ci sono poi dei corpi speciali di commando (come la AAD) con partecipazione volontaria. Esiste poi un nucleo di circa 3600 professionisti impiegati soprattutto come istruttori e logisti. Gli ufficiali, che precedentemente erano di carriera solo per il 50%, ricevevano una formazione basata sull'impiego di piccole unità operative e avevano dei periodi di richiamo per alcuni anni alternati alla normale attività lavorativa, attualmente vengono selezionati per concorso e formati da giovani.
Il servizio comincia con un periodo di circa 5 mesi che può essere posticipato per finire gli studi. I maschi hanno un richiamo di tre settimane ogni due anni, durante i quali ai datori di lavoro è rimborsato il 70% dei costi delle interruzioni della prestazione d'opera, fino ad un termine che con la riforma approvata nel 2003 che riduce drasticamente le spese e il personale militare è passato da 34 a 30 anni. In seguito alla riforma è anche stata introdotta la possibilità volontaria di svolgere il proprio servizio in unico periodo. Fino a 37 anni, poi, spesso il servizio continua presso la Protezione Civile.
Le armi utilizzate durante il servizio, di una tipologia estremamente ridotta per ridurre i costi di formazione e logistica, vengono conservate dai membri delle forze armate a casa loro per permettere una mobilitazione immediata.
Per ogni cittadino svizzero è previsto dai regolamenti edilizi un posto letto in rifugi in cui sono organizzati anche ospedali e centri di comando. I tunnel e i ponti vengono costruiti con trappole per carriarmati e sulle Alpi ci sono fortificazioni permanenti da cui cercare di riconquistare le valli dopo una invasione.
[5] Analogamente alle forze armate svizzere, anche in Jugoslavia le armi dei tecnocommandi, piccole unità estremamente indipendenti quasi come le formazioni partigiane, rimanevano in possesso dei soldati dopo il servizio ma sono state usate poi per innescare lo scontro etnico ed equipaggiare le armate etniche.
[6] In Costa Rica, dopo che alla fine della guerra civile del 1948 venne sancita l'abolizione dell'esercito e dopo un tentativo di colpo di stato venne inserita nella Costituzione del 1949 il seguente articolo 12: "Si proibisce l'esercito come istituzione permanente. Per la vigilanza e conservazione dell'ordine pubblico, lo Stato conterà sulle forze di polizia necessarie. Solo per accordo internazionale o per la difesa nazionale si potranno organizzare forze militari, le quali, come la polizia, saranno sempre soggette al Potere Civile e non potranno deliberare di fare né manifestazioni né dichiarazioni, né in forma individuale né collettiva."
[7] La modifica istituzionale più significativa avvenuta a cui corrisponderà un necessario adeguamento dei modelli di difesa è il rinsaldamento dell'Unione Europea. L'idea del federalismo europeo nasce da un desiderio di pace. Altiero Spinelli, senza partecipare alla guerra mondiale perché rinchiuso a Ventotene (si definì in un "lontano loggione" ad assistere alla guerra), ha fatto per la pace europea forse più dei militari che hanno combattuta quella guerra. L'idea di una Europa federale nacque allora proprio per evitare le guerre. E anche oggi questo sentimento è parte sostanziale del sentire degli europei più ancora di quanto dimostrino i loro governanti. Questo sentimento europeo di pace è giunto ad un punto di svolta: si sta definendo il modello di difesa europeo. Proprio perché l'Europa è una istituzione nata forse per la prima volta da valori di pace deve cogliere l'occasione per scegliere un modello di difesa che rispetti tali valori, rinunciando alla tentazione di identificarsi in una super nazione come è avvenuto in passato con altre Federazioni. Finora i modelli di difesa hanno seguito l'evoluzione delle istituzioni da cui dipendevano. Con l'andare dei secoli le forze di difesa hanno esteso la loro competenza e hanno evoluto la loro eticità ma adesso rischiano di tornare ad essere lo strumento di controllo di chi detiene la supremazia. L'Europa, nata dal desiderio di pace, non può dotarsi di strumenti di dominio sugli altri ma di strumenti che le permettano di mantenere e diffondere la sicurezza di tutti.
[8] L'art. 11 della Costituzione Italiana recita "consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni". Per molti questa indicazione più che essere riferita alle Nazioni Unite era propedeutica all'entrata della Italia nella NATO da lì a poco. In ogni caso, un ordinamento che assicuri "la pace e la giustizia fra le Nazioni" non dovrebbe ostacolare l'adozione di modelli di difesa che proprio su tali principi si basano.
[9] Sul sito del Dipartimento della Protezione Civile, all'indirizzo http://www.protezionecivile.it/sistema/index.php, si legge quanto segue: "LA PARTICOLARITA' DELLA PROTEZIONE CIVILE ITALIANA. Nella maggioranza dei Paesi europei, la protezione civile è un compito assegnato ad una sola istituzione o a poche strutture pubbliche. In Italia, invece, è coinvolta in questa funzione tutta l'organizzazione dello Stato, al centro e in periferia, dai Ministeri al più piccolo comune, ed anche la società civile partecipa a pieno titolo al Servizio nazionale della protezione civile, soprattutto attraverso le organizzazioni di volontariato. Le ragioni di questa scelta, che caratterizza la struttura della protezione civile italiana, si possono individuare nell'incontro tra una motivazione istituzionale ed una esigenza operativa legata alle caratteristiche del nostro territorio. Dal punto di vista dell'ordinamento amministrativo, è in corso da anni un processo di riforma orientato ad aumentare il peso, le competenze e le responsabilità delle istituzioni regionali e locali, attuando e sviluppando in forme adeguate alle esigenze di oggi gli orientamenti al regionalismo e alla valorizzazione delle istituzioni locali già presenti nella Carta costituzionale. La protezione civile non poteva essere estranea a questo processo, che spiega l'importanza crescente che stanno assumendo nella struttura del sistema nazionale della protezione civile le Regioni e le amministrazioni locali, l'aumento delle responsabilità e delle competenze loro affidate, l'articolazione dei livelli di decisione e di intervento, la complessità delle esigenze di direzione e coordinamento del sistema ai vari livelli. Il modello di organizzazione della nostra protezione civile, che origina dal processo di riorganizzazione dell'ordinamento amministrativo, risulta particolarmente adeguato ad un contesto territoriale come quello italiano, che presenta una gamma di possibili rischi di calamità e catastrofi sconosciuta negli altri Paesi europei. Quasi ogni area del paese risulta interessata dalla probabilità di qualche tipo di rischio, e ciò rende necessario un sistema di protezione civile che assicuri in ogni area la presenza di risorse umane, mezzi, capacità operative e decisionali in grado di intervenire in tempi brevissimi in caso di calamità, ma anche di operare con continuità per prevenire e, per quanto possibile, prevedere i disastri. IL SERVIZIO NAZIONALE DELLA PROTEZIONE CIVILE. Il sistema che si è costruito è basato sul principio di sussidiarietà. Il primo responsabile della protezione civile in ogni Comune è il Sindaco, che organizza le risorse comunali secondo piani prestabiliti per fronteggiare i rischi specifici del suo territorio. Quando si verifica un evento calamitoso, il Servizio nazionale della protezione civile è in grado, in tempi brevissimi, di definire la portata dell'evento e valutare se le risorse locali siano sufficienti a farvi fronte. In caso contrario si mobilitano immediatamente i livelli provinciali, regionali e, nelle situazioni più gravi, anche il livello nazionale, integrando le forze disponibili in loco con gli uomini e i mezzi necessari. Ma soprattutto si identificano da subito le autorità che devono assumere la direzione delle operazioni: è infatti evidente che una situazione di emergenza richiede in primo luogo che sia chiaro chi decide, chi sceglie, chi si assume la responsabilità degli interventi da mettere in atto. Nei casi di emergenza nazionale questo ruolo compete al Dipartimento della Protezione Civile, mentre la responsabilità politica è assunta direttamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri." Sullo stesso sito, all'indirizzo http://www.protezionecivile.it/sistema/dipartimento.php si trova scritto quanto segue. "La protezione civile si avvale di tutti i Corpi organizzati dello Stato, a partire dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, che per la sua specifica preparazione costituisce una componente indispensabile in ogni intervento. Grande affidabilità in tutte le emergenze assicurano le Forze dell'ordine, gli uomini delle Forze Armate, il personale del Corpo forestale dello Stato, della Guardia di Finanza, della Croce Rossa Italiana. Ma è soprattutto sul volontariato che sempre più la protezione civile italiana può fare affidamento. Dalle prime esperienze generose e disorganizzate di volontariato spontaneo, come gli "angeli del fango", intervenuti numerosi nell'alluvione di Firenze del 1966, si è avviato un percorso virtuoso che ha saputo incanalare la generosità e la solidarietà di tanti italiani nelle forme organizzative dell'associazionismo, oggi organizzato su base regionale, cresciuto in numero di volontari disponibili - i membri delle associazioni di protezione civile sono circa 1.200.000 - in capacità operative, preparazione, competenza, esperienza e dotazione di mezzi tecnici e strumenti operativi. Se fino agli anni '80 del secolo scorso il volontariato organizzato rappresentava una componente ausiliaria delle forze in campo, negli ultimi anni ha messo a disposizione nelle situazioni di emergenza più del 50% delle risorse umane impiegate."
[10] La Corte costituzionale nel 1985 dichiarò la piena legittimità del servizio civile e la sua piena parità, ai fini del dovere costituzionale di difesa della patria, col servizio militare. Ciò ha introdotto nella giurisprudenza italiana il principio di forme di difesa alternative a quella militare. Dato che la legge 230/1998, riformando il Servizio Civile alternativo al servizio militare, assegna la gestione di tale Servizio Civile all'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile e all'art.8.1.e assegna a tale ufficio il compito di "predisporre, d’intesa con il Dipartimento per il coordinamento della protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta", risulta evidente come il sacro dovere di difesa della Patria, che può essere svolto tramite il Servizio Civile, trova una sua attuazione concreta nella Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta che l'ufficio che gestisce tale Servizio Civile è tenuto a sviluppare.
Ciò è ulteriormente sancito dalla stessa legge n. 64 del 2001 che ha istituito il Servizio Civile Nazionale finalizzato a «concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari» assegnandolo proprio all'UNSC.
[11] Carlo Schenone, "L'applicazione dei GIS nella Difesa Civile", in "Informazioni territoriali e rischi ambientali", atti 3a Conferenza Nazionale ASITA, 9-12 novembre 1999, Napoli 1999.
[12] da "Il piccolo principe" di Antoine De Saint-Exupery.
[13] Margaret Field, dell'UCLA American Indian Studies
Center, scrive "Come molti studiosi hanno notato (Leighton and Kluckhohn
1948, Ladd 1957, Werner and Begishi 1968, Lamphere 1977), l'autorità nella
cultura Navajo è non gerarchica, ma generalmente diffusa, o differita lontano
da ogni sorgente individuale verso gruppi parentali o di pari. La
consapevolezza dei propri pari come sorgente di autorità è qualcosa che i
bambini Navajo interiorizzano socialmente dalla più tenera età, e il gruppo di
pari è incoraggiato ad essere autonomo, unità auto-determinata, come i bambini
sono incoraggiati a prendersi la responsabilità vicendevolmente (Leighton and
Kluckhohn 1948, Werner and Begishi 1968)." in "Triadic Directives in
Navajo Language Use: a Second Type of Linguistic Relativity", http://www.udc.es/dep/lx/cac/aaa1998/field.htm.
Ma anche in contesti culturali più vicini è possibile ritrovare relazioni non
gerarchiche in situazioni che la nostra cultura assume come implicitamente
gerarchiche. Un esempio è "l'antico concetto occitano di PARATGE, la
comparabilità tra i Baroni delle terre occitane all'inizio del secondo
millennio, una aristocrazia all'interno della quale era sempre riconosciuta una
uguaglianza di fondo, al di la dell'estensione dei domini o dalla potenza delle
armate" [http://www.paratge.it/valadas/pres_it.htm]. Ma se il paratge
coesisteva con le relazioni gerarchiche tra baroni e popolo, in altri casi
l'esistenza di relazioni di subordinazione non implicano necessariamente relazioni
gerarchiche totali. Sul sito turistico svedese http://www.sverigeturism.se nella
pagina intitolata "Cultura affaristica svedese" si legge: "La
'distanza di potere' nelle imprese svedesi è tra le più piccole del mondo,
secondo uno studi su 40 Paesi del 1984. La 'Distanza di potere' può essere
definita come 'l'estensione alla quale le persone in una situazione gerarchica
sentono di poter e dover controllare il comportamento di altri, e l'estensione
alla quale quegli altri sono condizionati da riflessi di obbedienza'. Nelle
imprese svedesi, il concetto di distanza di potere è largamente rimpiazzato
dalla responsabilità personale. Lo stato personale è di relativamente piccola
importanza nella vita affaristica svedese. I dirigenti solo raramente danno
segnale del proprio stato e i dipendenti normalmente non si sentono inferiori
ad essi. Un dirigente è soprattutto considerato uno specialista nella gestione
di aziende ed è perciò non socialmente superiore ad uno specialista in
qualsiasi altro campo. Rispetto a ciò, la Svezia sembra differente da molte
altri Paesi. Un ulteriore segnale della struttura non gerarchica (o, meglio,
modestamente gerarchica) delle aziende svedesi è che gli svedesi normalmente
usano il loro nome (non il cognome NdT) sul lavoro.
[http://www.sverigeturism.se/smorgasbord/smorgasbord/industry/business/culture.html]
[14] Franco Carlini scrive: "Bruce Sterling, narratore della cultura cyber, è tra i principali responsabili di questo mezzo mito e mezza verità: L'internet globale dove la libertà di parola fiorisce come mai nella storia – era un progetto militare della Guerra Fredda. Venne progettata per garantire la comunicazione militare negli Stati Uniti [eventualmente] devastati da un attacco nucleare sovietico. In origine l'Internet era una rete di comando per il post-apocalisse" Franco Carlini, Internet, Pinocchio e il gendarme, Manifestolibri, 1996.
[15] ·Piselli F. (a cura di), "Reti. L'analisi di network nelle scienze, sociali", Donzelli, Roma 1995.
[16] "Non si tratta tanto di reclamare il disarmo quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realtà e della necessità di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di transarmo sembra il più appropriato per designare questo obiettivo. Questo concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi rischi. Mentre la parola disarmo non esprime che un rifiuto, la parola transarmo vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una prospettiva negativa, il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettività umana, e, nella misura in cui i membri di una società hanno il senso che la loro sicurezza esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione, il disarmo non potrà generare in loro che una profonda insicurezza. Prima di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono antagonisti, perché una delle finalità del processo di transarmo e' di rendere possibili delle misure effettive di disarmo. Il transarmo mira a creare un'alternativa alla difesa militare, cioè mira ad organizzare una difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata" da Jean-Marie Muller, "Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace", Plus - Pisa University Press, Pisa 2004, p. 206.
[17] secondo la legge 64/01 il Servizio Civile Nazionale è finalizzato a "concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari"